LA SCUOLA SESSANTOTTINA

Scuola e Giustizia, due Istituzioni nevralgiche dello Stato, che toccano i sensi e la vita fin da fanciulli, non funzionano più.

Il disastro è profondo e a tutti (finalmente!) evidente.
E allora ci si chiede che cosa, perché, “chi” le abbia guastate. 
Bene, se si guarda all’indietro nel tempo, la risposta è una sola: la politica.
La politica dall’esterno, origine della perversione, e dall’interno, azione
della perversione. Tant’è che si possono indicare perfino i momenti,
gli atti, le date in cui i politici hanno dato il via all’opera di
smantellamento-distruzione delle due Istituzioni.
Per loro insipienza in primo luogo e stolti calcoli elettoralistici in secundis.
Per brevità, ci limiteremo per ora all’Istruzione, quale nervo totalizzante
della società.

Le brame e le trame dei ‘vermi politici” (“Amleto”), infatti, hanno raggiunto
prima la Scuola (tutta), più facile da fagocitare e ridurre a merce di scambio
e poi la Giustizia, dove l’opera è stata più occulta, subdola,
fuorviante.
Dopo la riforma della Scuola Media Unica e perfino dopo il ‘68, la Scuola
si sarebbe ancora potuta salvare, se qualcuno avesse scelto di recuperare
un sistema serio di istruzione, anziché vellicare la demagogia di massa. 
Difficile, certo, per l’alleanza tacita, letale per la cultura (perciò da 
Salvemini sempre avversata), tra la Chiesa, nemica giurata dell’Istruzione
pubblica, e una classe politica catto-comunista preda della cupidigia arraffona.
E, tuttavia, ancora possibile da un punto di vista “tecnico”, per così dire.
Non era ancora stata lesa la struttura dell’Istituzione, perciò qualcosa
poteva ancora essere salvato dalla rovina del ‘68 (con tutti gli attuali
“guasti” sociali). Fu con i Decreti Delegati del ‘74 che l’orrida alleanza
decretò la fine dell’Istituzione.
Fu con la trasformazione della Scuola in centro di lotta politica, con
partiti e liste di genitori e studenti forieri del chiasso anticulturale delle
elezioni interne, con l’intrusione forzosa nei Consigli di classe di tali
componenti estranee, egoistiche, incompetenti, che la Scuola venne
affossata e perse la possibilità di insegnare.
L’Istruzione perse allora il suo fine culturale e la sua dignità.
Fu sottoposta a limitazioni politiche, restrizioni culturali e alle
degenerazioni (d’origine cattolica) delle “sperimentazioni” (come si può 
mai ridurre l’educazione a “sperimentazione”: ridurre i figli in cavie”… topi?).
Perse, dunque, la sua funzione di emancipazione individuale e sociale.
Non a caso i genitori, traviati dai loro preziosi compiti familiari e resi 
correi delle sfascio della Scuola, sono divenuti da allora il più potente
fattore di involuzione e tronfiezza (“bullismo”) dei loro stessi figli,
di perdita del senso del merito e della responsabilità, di “mammismo”,
“permissivismo” e “promozionismo” ciechi. In una parola: di diseducazione.
I D.D. del ‘74 furono il fallimento della Scuola, il grimaldello con cui
una classe politica e sindacale, che si avviava ad essere (fregandosene)
definitivamente farabutta, barattava consensi e voti elettorali in cambio
del “diritto alla promozione” (il 6 politico), la partigianeria in cambio
dell’irresponsabilità di massa e della “truffa”, del successo sociale
“gratuito”.
Ed avviava le masse giovanili verso la morte culturale.

Pochi hanno ad oggi compreso la tragica beffa. 
Qualche stolto, un po’ più stolto degli altri, parla ancora di positivo
processo storico, descrive
ancora quegli anni come “formidabili”. 
In realtà, non si potrà porre rimedio a tanto scempio, se non liberando 
la cultura dalla politica, eliminando le cause politiche del decadimento e
togliendo dalla gestione diretta dell’Istituzione quelle componenti 
(genitori e studenti) che non possono per natura essere imparziali,  competenti.
Più si tarda a volerlo capire e più la Scuola perderà (butterà al macero)
intere generazioni.
Per ora ne ha già perse due. 

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