Spettacolo

Teatro Quirino – La Lupa di Verga con Lina Sastri e Giuseppe Zeno per la regia di Guglielmo Ferro

lina sastri la lupaAmuri, amuri che m’hai fatto fari

Roma, 19 novembre – Oggi, al Teatro Quirino di Roma, Lina Sastri è la Lupa, gnà Pina. Da non perdere e da non dimenticare. Il personaggio, che aveva acceso la fantasia di Giovanni Verga installandosi da padrone in un racconto di Vita dei Campi del 1890 e riverberando attorno un fascino maudit, per la sua beluina fame sessuale, per quella sensualità selvatica e panica, rivive in un allestimento bellissimo che ha al centro la Sicilia granaria con alte spighe gonfie di semi, una Sicilia femmina prima che madre, che obbedisce alla grande legge naturale della preservazione e perpetuazione della specie, firmato Françoise Raybaud, in linea con la regia di Guglielmo Ferro (figlio del grande attore Turi), concentrata a mostrare le caratteristiche modulazioni dell’animo umano di questa femmina indomita e libera, come l’animale cui deve il soprannome.

Nella letteratura di ogni parte del mondo fioriscono personaggi che, appena nati, rivendicano un’autonomia dalla pagina e subito percorrono tutto l’arco dei linguaggi della comunicazione artistica, sempre a proprio agio, sempre attuali, fino a diventare universali. Così, a mò di esempio, basta citare un’Anna Karenina, una Madame Bovary. Se gnà Pina, avesse avuto la sorte di incrociare nel cammino un musicista-Pigmalione, un Bizet, oggi su tutti i palcoscenici del mondo ci sarebbe una Lupa a fare concorrenza a Carmen. E in realtà s’era pensato di trarre un libretto per Puccini dalla novella, facendo una riscrittura in versi a cura dello stesso Verga e di Federico De Roberto. La Lupa voleva illustrare la poetica dello scrittore siciliano, caposcuola del Verismo, quell’adattamento in terra italica, specificamente siciliana, del Naturalismo francese, che spostava l’occhio di bue dell’attenzione sull’ambiente più umile, sugli uomini chiamati a combattere una guerra che si sa già perduta, protagonisti del ciclo “I Vinti”.

La Lupa è a suo modo una “vinta”, per il tormento di un corpo dalla sessualità prorompente. Espressione di una libertà tutta ferina, la sua incontenibile sensualità è tanto pregante da apparire una variante dell’amore, Gnà Pina subisce il maleficio di una femminilità esigente di passione, rimasta a covare la solitudine come una dannazione, vittima di un destino ostile che l’ha privata del conforto di un uomo tutto suo, Ancor giovane, attraente, forte e combattiva, libera e senza vincoli, gnà Pina deve servirsi delle mense apparecchiate per altre più fortunate donne, spesso è destinata perciò a prendere quello che la vita offre, fosse pure il bel Nanni con i suoi muscoloni risplendenti nel sudore del meriggio fra le spighe gialle del grano maturo nell’assolata campagna siciliana.

Ma è lussuria la sua, o una naturale seduttività che cerca sfogo nel soddisfacimento carnale, o un vuoto che va ammortizzato in un abbraccio? Gnà Pina ha cresciuto la figlia Maricchia, sempre spinta all’angolo dalla paura gelosa delle altre donne in una Sicilia con poche speranze, piena di pregiudizi, dalla religiosità estemporanea e chiassosa che si nutre di superstizioni, che non ha spazio né pietà per i suoi bisogni. Una Sicilia che eleva al rango di culto onnipotente e devastante l’Amore, “Amuri Amuri che m’hai fatto fari/m’hai fattu fari na granni pazzia” (canta la donna ferita nel bisogno intonando la vecchia canzone tradizionale rivisitata da Franco Battiato). Perché avviene che la Lupa incontri quel giovane dai muscoli compatti che ritorna al paese dopo sette lunghi anni di servizio militare con un progetto di vita ben preciso, trovarsi una compagna con dote da sposare e metter su famiglia in un benessere conquistato.

Nella Lupa esplode improvviso un sentimento esclusivo, parossistico, una fame bulimica di quel giovane, alla quale non può che arrendersi, sottomettersi. Per tenerlo vicino, impone alla figlia di accettarlo per marito, e la ragazza, che aveva letto lo sguardo turbato e colmo di attese della madre, tenta di sfuggire. Senza successo. Lei, gnà Pina, promette che resterà nella casa, donata a Maricchia come dote, e dormirà accucciata accanto al focolare, senza dar noie. Ma non saprà tener fede alla promessa, riuscirà a godere del benessere di quel corpo giovane e la figlia, divenuta madre, lo scoprirà.

La Lupa si è rimpadronita del suo istinto predatorio e la fine non può che essere una e una sola. Perché solo Amuri/Nanni può spezzare la catena del bisogno. Accanto ad una indimenticabile Lina Sastri, gira un mondo di personaggi minori (peraltro la coralità è tipica delle novelle verghiane, fra l’altro è in “Cavalleria rusticana”, come ne “Il Mistero” ), che riescono a dare vita ad una sorta di coro greco dove, sotto l’egida dei cicli naturali della terra, delle cerimonie religiose che si accompagnano alla raccolta delle messi, un gruppo di giovani donne mostrano un’evoluzione sociale ancora in nuce chiedendo di poter lavorare. Protagonista maschile èun intonatoGiuseppe Zeno, Nanni. Lui, l’oggetto del desiderio, è un contadino dell’epoca in cerca di riscatto sociale, preda dei desideri di una donna appassionata ma in fondo ligio al ruolo che si è disegnato.

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