IN ONORE DI ENRICO VIDAL

 L’Ambasciatore Giorgio Bosco ricorda il suo Maestro.

(Giorgio Bosco)

Ricorre il ventesimo anniversario della scomparsa di Enrico Vidal, del quale fui allievo e che mi onorò della sua amicizia, vorrei ricordarlo sulle pagine di questa Rivista, che lo annoverava tra i suoi assidui lettori. La sua vita fu tutta dedicata agli studi e all’ insegnamento nelle Facoltà di Scienze politiche di Roma e di Genova, dove fu ordinario sia di Storia delle dottrine politiche che di Scienza della politica. Nel corso degli anni il suo pensiero si sviluppò secondo linee del tutto originali, che lo portarono a dare un titolo insolito ad uno dei suoi volumi: Umanismo e coesistenzialismo (Milano, Giuffré, 1954). Aveva esordito nel 1950, sempre per i tipi di Giuffré, con un Saggio sul Montesquieu, uscito nella famosa collana di pubblicazioni – diretta da Giorgio Del Vecchio – dell’Istituto di Filosofia del diritto dell’università di Roma, ponendo così il suo nome accanto a quelli di illustri Maestri, dallo stesso Del Vecchio A Capograssi, da Filomusi Guelfi a Battaglia. In Montesquieu lo attiravano le sue concezioni dell’uomo, del diritto e della politica; e se il saggio lo avesse scritto adesso, non avrebbe mancato di considerare il barone di Secondat un antesignano della globalizzazione, citando il suo noto giudizio: “Uno Stato che rovina gli altri, rovina sé stesso, e se si sottrae alla prosperità comune, si sottrae alla propria. Tutte le nazioni sono unite in una sola catena e si comunicano a vicenda i propri beni e i propri mali”. Nella stessa collana, e continuando a rivolgere la sua attenzione al secolo dei lumi, pubblicò nel 1953 un volume di 300 pagine su Il pensiero civile di Paolo Mattia Doria negli scritti inediti. Egli constatava “[…] il fervore di studi settecenteschi, volti a lumeggiare […] il piano di profonda umanità sul quale si svolse il pensiero politico italiano del Settecento”. In questo campo riteneva che il Doria, da lui definito “filosofo, matematico e politico, nonché moralista, pedagogista, storico, economista e scrittore militare”, avesse aperto il secolo, acquistandosi da autorevoli critici il duplice titolo di primo artefice della restaurazione filosofica del pensiero politico e di iniziatore del pensiero civile riformatore nell’Italia meridionale. In sintesi, il Doria “[…] fu il primo che al principio del Settecento diede inizio al lungo e doloroso catalogo dei vizi da estirpare e delle infermità da curare nell’Italia meridionale”. Attività non priva di rischi, anche dopo la morte, come dimostrato dalla condanna di  postuma del Doria intitolata Idea di una perfetta Repubblica, che Carlo di Borbone fece dare pubblicamente alle fiamme il 13 marzo 1753, accreditando così l’opinione che l’autore vi avesse vagheggiato un disegno di governo popolare. Passando dalla prima alla seconda metà del XVIII secolo, l’interesse del Vidal si spostò sulla figura di Henri de Saint-Simon (1760-1825), al quale dedicò un sag-gio dal titolo Saint-Simon e la scienza politica (Milano, Giuffré, 1959). Dato lo stretto rapporto di collaborazione tra i due personaggi (anche se il Teixeira Mendes lo definì “funeste liaison”), il volume riporta in appendice il Sistema di politica positiva di Auguste Comte. Seguirono anni di lunghi studi ed approfondimenti, che culminarono nell’opera Le origini
del pensiem politico del Conte (Milano, Giuffré, 1970), dove il Vidal ne sottolineò i temi centrali: dottrina politica organica, politica positiva e scienza politica. Lo stesso Comte affermava: “La politique doit aujourd ’hai et peut devenir une science positive et physique”, notando che occorreva “réorganiser l’Europe par 1 ‘éducation”.
Ecco un autore che può dire qualcosa agli europei in cerca d’identità, e il grande merito del Vidal è stato quello di diffondere in Italia le idee del Comte.
Enrico Vidal fu persona di grande umanità, amava i giovani e ne era ricambiato, come testimoniavano le sue lezioni sempre affollate; chi ebbe la ventura di ascoltarle, non le dimenticherà facilmente.
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