Cronaca

L’EROISMO DELLA MEDIAZIONE DEI TUTORI DELLA LEGGE, APPRESO DALL’ESPERIENZA DELLA STRADA

Il vice brigadiere Roberto Lorini, 48anni, di Chiari (Brescia), sposato con figli, da 28 anni in servizio alla stazione di Romano di Lombardia è l’Eroe oscuro che il 5 maggio scorso, a Romano di Lombardia, ha evitato una strage.  La storia è ben nota, per cui vogliamo spendere qualche parole non sulle dinamiche sociologiche del grave fatto quanto…

sulla figura dell’ Uomo-Carabiniere, che ha raccontato anche come sono andate realmente le cose. Una vita, la sua, trascorsa sulla strada; un Carabiniere di Stazione, vera Sentinella dello Stato; Lorini, un Soldato di antico stampo, ricco di valori umani, pacato e serio,sì, molto pacato e molto serio, elementi che gli hanno consentito di dialogare con Luigi Martinelli, l’ex imprenditore 54enne, che armato di fucile a pompa, due pistole, munizioni e un coltello, è entrato nella filiale dell’Agenzia delle Entrate. La mediazione del vice brigadiere, durata diverse ore, frutto non di scuole ad hoc, ma di grande esperienza, vissuta praticata e sofferta sulla strada e sulla Sua pelle, per decenni, che è l’unica vera scuola dei migliori Soldati della Legge, alla fine è stata determinante, al punto da convincere il sequestratore a liberare l’ultimo ostaggio, l’impiegato dell’Agenzia Carmine Mormandi, e poi ad arrendersi. Come sono andati i fatti li racconta lo stesso protagonista. “”Quando sono arrivato sul posto, precisa Lorini , ho intravisto dalla vetrata dell’ufficio dell’Agenzia che Martinelli era armato. Allora mi sono avvicinato e ho mostrato le mie mani per far vedere che non avevo con me armi. Poi gli ho detto: ragioniamo, parliamone, fammi entrare e vediamo come si può risolvere il tuo problema. La prima cosa che ho notato in lui? La rabbia che aveva addosso, ce l’aveva con tutti, ma allo stesso tempo ho capito che era una persona normale; abbiamo iniziato a parlare, dei più svariati argomenti, delle nostre famiglie, dei nostri figli, ed è stato in quel momento che ho intuito che davanti a me avevo una persona altrettanto semplice, tant’è che ad un certo punto mi sono messo a parlare in dialetto bresciano. Ho fatto capire che siamo tutti umani e che non valeva la pena prendersela. Gli ho anche detto che io, lui e l’ostaggio eravamo tre amici e lo saremmo sempre stati per sempre. Ad un certo punto ho chiamato mia moglie al telefono per dirle che avrei fatto tardi e poi l’ho fatta parlare con Martinelli. Abbiamo continuato a discutere fino a quando sono riuscito a raggiungere un accordo: liberare anche l’ultimo ostaggio e poi arrendersi””.
 
Il Luogotenente Salvatore Veltri, l’altro protagonista della seconda storia che propongo ai lettori, che tuttora è Comandante della Stazione di Roma Talenti, a seguito dell’intervento che lo vide protagonista nel febbraio 2005, quando dovette fronteggiare Angelo Cicero, il folle che quel giorno terrorizzò duemila Testimoni di Geova, tra i quali centinaia di donne e bambini riuniti in preghiera nella grande sala di piazza Hegel, così raccontò i fatti: “”Quando l’ ho sentito annunciare l’ “Armageddon” (l’Apocalisse), la fine del mondo nel 2016, ho capito che bisognava farlo stare calmo a tutti i costi. Non potevamo sapere se quella pistola automatica, che aveva mostrato mentre caricava con il colpo in canna, fosse in grado di sparare, come non sapevamo se quella cintura da kamikaze fosse realmente imbottita di esplosivo. Mi sono fatto prestare una giacca e una cravatta per confondermi tra i fedeli e sono entrato; bisognava dare il tempo agli altri di circondarlo e di far uscite le donne e bambini. Poi, quando stava ormai terminando il suo proclama, è diventato più calmo. Davanti all’ esodo dei presenti, ha lanciato un ultimo anatema: “Geova è con me, chi va via non riceverà la salvezza”. Attimi dopo, Angelo Cicero è stato immobilizzato da Veltri e dagli altri Carabinieri. “Non sono un eroe – disse il Maresciallo di Talenti, 57 anni, padre di due figli-e se tutto è andato bene, è merito di tutti i miei colleghi”. Vent’ anni, prima, nel 1984, Veltri affrontò un altro squilibrato che era entrato nella Scuola Ignazio Silone che, dopo aver ucciso il bidello Ernesto Chiovini,  aveva sequestrato insegnati e bambini. Anche allora era stato lui a mediare e, dopo oltre sei ore, il folle si arrese consegnandogli il fucile. Dopo questi atti di vero valore, Veltri è rientrato puntualmente nei ranghi della normalità, e nel Suo quotidiano operare, Lui che è ormai il più anziano per grado e funzioni  Comandante di Stazione di Roma Capitale, dà quotidiana prova di umiltà, dedizione allo Stato e tenace attaccamento al dovere.
 
Il terzo e ultimo caso che desidero citare, perché significativo ed emblematico sui pericoli esistenti in tal genere di operazioni, è quello del valoroso Colonnello Valerio Gildoni, Comandante del Reparto Operativo di Vicenza (sul quale ci siamo già due volte intrattenuti su questa illustre Testata della benemerita Fondazione Salvemini il 17 agosto 2009 e il 26 giugno 2010), già da Maggiore comandante della Compagnia di Roma-Montesacro e quindi diretto superiore del Luogotenente Veltri all’epoca dell’episodio di Piazzale Hegel, con il quale visse la terribile vicenda prima descritta dei Testimoni di Geova. Ebbene, Gildoni, il 17 luglio 2009, in località Bosco di Nanto, in Provincia di Vicenza, con  determinazione ed esemplare iniziativa, con altri militari, aveva avviato una delicata opera di persuasione nei confronti di un uomo che in stato di alterazione psichica si era barricato all’interno della propria abitazione esplodendo un colpo d’arma da fuoco all’indirizzo di una pattuglia di Carabinieri poco prima intervenuta. Resosi conto che la situazione era di estremo pericolo anche per l’incolumità degli altri presenti, consapevole del grave rischio personale, senza far uso dell’arma d’ordinanza, non esitava ad avvicinarsi allo squilibrato per stabilire un contatto diretto e convincerlo a desistere, venendo purtroppo colpito da un colpo di fucile che lo attingeva mortalmente. Per questo atto di intemerato coraggio, Gildoni ha meritato la Medaglia d’Oro al Valor Militare “alla Memoria”.
 
Queste le tre storie di oscuri grandi Eroi del quotidiano; tre storie, delle quali l’ultima culminata in tragedia con un’ eroica morte; tre storie similari per premesse e sviluppi, che hanno contrassegnato la vita di tre Carabinieri accomunati nel generoso slancio di proteggere il cittadino-fratello sopraffatto dalla violenza e minacciato dal pericolo; tre storie assimilabili a migliaia di altre che, risoltesi positivamente, non hanno avuto risalto mediatico; tre storie che ben concorrono a dipingere il gran quadro della storia quotidiana dell’Arma, di quell’Arma che, come secolare quercia, ha saputo attraversare tante e tante procelle e si avvia, nel 2014, al duecentesimo Suo genetliaco; quell’ Arma “..della Fedeltà immobile e dell’abnegazione silenziosa..”, come la definiva il Poeta-Soldato della Nuova Italia Gabriele d’Annunzio, che prende anima non già da Modelli distanti e orgogliosi, ma dal Suo popolo minuto che ha unico sincero spontaneo sentimento di appartenenza; sì, quella storia minuta di piccoli grandi fatti, compiuti da Uomini comuni, però con la U maiuscola, questo almeno va concesso; una storia di fedeli Servitori dello Stato, di quello Stato,per colpa di indegni rappresentanti, spesso colpevolmente dimentico dei sacrifici dei Suoi più fedeli e nobili Servitori!
 
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