Racconti di sport

Omonimie argentine: da un Leopoldo Luque all’altro

La storia dei due Leopoldo Luque che hanno incrociato le loro vite con quella di Maradona.

Roma, 1 dicembre 2020 – In Argentina si parla solo della morte di Maradona e dell’incriminazione, per omicidio colposo, di Leopoldo Luque, il suo medico curante.

Colui che lo aveva operato alla testa e che poi, stando alle figlie di Maradona e alla sua ex moglie, lo avrebbe dimesso troppo presto dall’ospedale.

La vicenda è intricata e rischia di diventare una di quelle telenovelas sudamericane che non finiscono mai.

Una vicenda che a noi, vecchi amanti del football che fu, più che di quello odierno, ci ha fatto venire alla mente un altro Leopoldo Luque, sempre argentino, ma non dottore.

Bensì calciatore, anche di quella stessa nazionale “albiceleste” della quale Maradona è stato il più grande protagonista. Ma non ancora quando giocava lui.

Il Leopoldo Luque soggetto della nostra storia, dell’Argentina era il centravanti ai Mondiali del ’78. I famosi “Mondiali della vergogna”, come li ha definiti lo scrittore argentino Pablo Llonto in un suo bel libro.

Quelli che l’Argentina vinse esaltando, indirettamente, la vergognosa giunta militare che l’aveva portata a sprofondare in una delle peggiori dittature della storia.

“Altro che giocare e vincere per loro” ha dichiarato tempo fa il Luque calciatore al “Clarìn”, il più popolare quotidiano di Buenos Aires.

“Abbiamo giocato e vinto per noi, non per chi ci comandava – ha continuato – anzi, vi dico pure che io ho rischiato di essere ucciso dalla polizia del regime, che un giorno, mentre guidavo, mi ha fermato, mi ha portato in una posto isolato di Buenos Aires e, dopo avermi fatto scendere dalla macchina, mi ha fatto voltare con le spalle verso gli agenti”.

“A quel punto ho pensato che la mia vita sarebbe finita lì – continua – aspettavo solo il colpo di pistola che me l’avrebbe tolta. Invece, per fortuna, si sono limitati a rubarmi la macchina e i soldi, lasciandomi su quel prato tremolante, impaurito, ma vivo”.

Sembra impossibile che questa brutta avventura sia capitata ad un Campione del Mondo come Leopoldo Luque, vista la sua popolarità. Ma è andata proprio così.

E non è neanche l’unica che Luque ha dovuto vivere per colpa di quella maledetta dittatura che ha devastato un popolo e una nazione.

“Proprio durante il Mondiale del ’78, prima che giocassimo contro la Francia, ho perso mio fratello Oscar – racconta – mi hanno detto per un incidente d’auto. Guidava il camioncino che gli aveva prestato un vicino di casa, c’era la nebbia … Ma mio fratello era un grande oppositore del regime. E aveva solo 25 anni”.

“Ho dovuto credere che fosse andata così – continua – ma la sua morte mi ha distrutto. Ho saltato la successiva partita con l’Italia, quella con la Polonia, ma dopo questa mio padre mi ha detto: “Leo, devi tornare”. E io sono tornato in ritiro con la nazionale, ho giocato e ho vinto. Per il mio popolo, per mio fratello, non per loro”.

Per quel Mondiale del ’78 Maradona, ancora giovane ma già molto forte, non fu convocato dal Ct Menotti.

Cosa che gli impedì di diventare Campione del Mondo. Un titolo che sognava da sempre e che avrebbe vinto praticamente da solo otto anni dopo, nell’86, in Messico.

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