Racconti di sport

Racconti di sport: “L’ultima partita!”

calcio chinaglia lazio torino gol annull 25 04 76Roma, 25 aprile – Il venticinque aprile del 1976, come oggi, si festeggiava la festa della Liberazione. In un assolato pomeriggio domenicale si giocava la quart’ultima giornata del massimo campionato di calcio di serie A ed all’Olimpico di Roma si disputava Lazio-Torino, con i granata in lotta per lo scudetto, che poi avrebbero vinto, ed i laziali per evitare una drammatica retrocessione.

Atmosfera strana allo stadio ma non tanto per la difficoltà della partita, di per se complicata, quanto per la fine di un’epoca, di un ciclo; era l’ultima apparizione con la maglia biancoceleste di Giorgio Chinaglia!

Un’annata complicata quella della Lazio e di Chinaglia che una volta al mese, da inizio stagione, faceva la spola con gli States dove già la sua famiglia era residente e nell’ambiente biancoceleste cominciava a maturare la consapevolezza che il centrattacco sarebbe partito definitivamente seppur con tre partite ancora da giocare con la “sua” Lazio in lotta per evitare la serie B; tuttavia la notizia fu congelata proprio per non creare maggiori turbative ad un ambiente non sereno.

Il calcio è uno sport fantastico perché il pronostico più scontato non è detto che si realizzi e quel giorno la Lazio riuscì gagliardamente a tener testa allo squadrone torinese fino al 90° quando inopinatamente un’autorete di Re Cecconi consentì al Toro di pareggiare, per 1-1, l’iniziale vantaggio biancoceleste.

Chinaglia era un leone in gabbia, tormentato da mille pensieri e da una forma che mai quell’anno raggiunse l’apice, ciò nonostante aveva segnato un goal regolare che però non fu convalidato dall’arbitro Michelotti per un fuorigioco inesistente.

 A fine gara Giorgione scappò all’hotel Villa Pamphili per preparare in incognito la sua partenza ma il segreto sfuggì a qualcuno per cui si creò un via-vai in albergo tra tifosi, giornalisti e gli amici più cari.

Prima di arrivare a Ciampino, dove un aero-taxi verso le ore 21 lo avrebbe condotto a Parigi per poi l’indomani decollare alla volta di New York, cresceva l’ansia, la tristezza e l’amarezza di un uomo che sapeva di varcare, senza ritorno, un confine verso una nuova era. Come detto la sua famiglia, moglie e tre figli piccoli, lo aspettava “nel nuovo mondo” a New York ormai gia da un anno, decisione presa dalla signora Connie che non sopportava più le offese gratuite e le minacce subite durante il soggiorno romano.

L’angoscia di Giorgio era direttamente proporzionale alla voglia di riabbracciare la sua famiglia; la decisione di partire senza aspettare la fine del campionato, come tutte le prese di posizione della sua vita, fu repentina. La gran fretta di scappare via forse era per raccogliersi e sfogare la sua commozione, il suo tormento.

Oltre ai suoi compagni, ai tifosi ed agli amici il grosso rimorso era quello di aver lasciato un secondo padre, Tommaso Maestrelli.

La carriera sportiva di Chinaglia, relativamente alla Lazio, è stata di 246 partite con 122 reti, con l’inizio del sogno a luglio del ’69 fino appunto al 25 aprile del ’76.

 In quella drammatica domenica dopo la partita fui invitato ad una festa di compleanno, ma a quel ritrovo si presentò un automa, un’entità astratta.

Il giorno seguente mi recai all’ospedale militare del Celio per sostenere le visite mediche di idoneità al servizio militare e mi presentai presso il colonnello-medico di turno distrutto, col morale sotto i tacchi e con sette/otto giornali per leggere i retroscena ed i commenti vari sulla partenza di Giorgione.

Il militare cominciò a farmi domande incuriosito dalla raccolta  di quotidiani che mi portavo appresso e sempre più incalzava sul calcio, invece di chiedermi sul mio stato fisico. Era anche lui della Lazio! Con una scusa allontanò il personale di servizio e cominciammo a discutere, soli nella sala medica, sul perché si fosse creata questa situazione con la nostra squadra del cuore che solo due anni prima vinceva il Tricolore e naturalmente ci accalorammo sulla vicenda Chinaglia, visto che anche il colonnello, come me, era amareggiato per la partenza del nostro Messia.

Quarant’anni sono passati ma per quanto mi riguarda, e come me anche per altri laziali, altro che Liberazione è stata la fine di un’era, di un’avventura pazzesca che nel bene e nel male ha caratterizzato la storia del sodalizio biancoceleste.

Un uomo istintivo che nei sette anni di Lazio, come per tutta la sua vita, ha condotto un percorso a dir poco spericolato, con un grande e generosissimo cuore, lo stesso che lo ha volgarmente tradito ed abbandonato il primo aprile del 2012.

       

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