Tematiche etico-sociali

Il timore dei soldati nella Grande Guerra: l’assalto

cc assalto baionetta

Roma,  10 marzo – Su “L’Appennino Camerte”, giornale culturale e di attualità di Camerino (MC) del 4 marzo un interessante articolo a firma e.aquili@virgilio.it dal titolo: “”L’ incubo dei soldati di tutti gli eserciti”. Quale l’incubo? Ovvio, l’assalto….”Allo scoppio di quella che agli occhi di tutti sarebbe stata una guerra di movimento e di breve durata…, il Regio Esercito, con criteri bellici vecchi di 10 anni..(adottava).. criteri napoleonici dell’attacco frontale, che per quasi un secolo sono stati le linee guida di ogni dottrina militare, (che) mal si conciliano col terreno accidentato del Carso, con le distese di reticolati e le trincee fortificate in bunker e in caverne e con le mitragliatrici. Non curante di ciò, il Generale Cadorna, Capo di Stato Maggiore, teorizza due tipi di attacco. L’attacco brillante e quello lento..”Per attacco brillante si calcola quanti uomini la mitragliatrice può abbattere e si lancia all’attacco un numero di uomini superiore; qualcuno giungerà alla mitragliatrice. Per attacco lento si procede mediante camminamenti coperti in modo di subire meno perdite, finchè giunti vicino si assalta…. Le sole munizioni che non mi mancano sono gli uomini”. L’assalto è l’incubo dei Soldati di tutti gli Eserciti.

Cesare De Simone riporta nel suo libro “L’Isonzo mormorava” un episodio (raccontato da un Fante): ” Tutte le volte che c’era un attacco arrivavano i Carabinieri. Entravano nelle nostre trincee, i loro Ufficiali li facevano mettere in fila dietro di noi e noi sapevamo che quando sarebbe stata l’ora avrebbero sparato addosso a chiunque si fosse attardato..” E ancora nel libro  la testimonianza del  Capitano Giorgio Orefice: ” Mentre un giorno sono in trincea arriva il Generale Marchetti (Comandante della 21 Divisione insieme al Comandante del 9° Fanteria…..Il Generale con una mentalità che non merita di essere qualificata, di fronte ai Soldati che ascoltano, risponde (al Colonnello che rappresentava difficoltà nelle operazioni): “Superateli facendo materassi di cadaveri..””

Così poi scrive Marco Mondini (ricercatore nell’Istituto storico italo-germanico di Trento e docente di Storia militare nell’Università di Padova, con numerosi libri sulla “Grande Guerra”), nel suo ultimo lavoro:”I Luoghi Della Grande Guerra” (il Mulino-Ritrovare l’Italia, pag. 166, sett.2015, euro 12,00) su Cadorna (da pag.127): “”…Le cause della sconfitta tattica a Caporetto erano da dividere tra Capello (Generale), che comandava la 2^ Armata, e i Generali in subordine incapaci di reagire agli imprevisti e alle rapidità dell’infiltrazione tedesca, mentre la ragione della rotta disordinata in cui si era trasformata la ritirata era da imputarsi solo alla sua incapacità di gestire la situazione……Cadorna amava dipingersi come un carattere imperturbabile, ma la sua esperienza di comando ha lasciato più che altro le tracce di personalità paranoica: vedeva complotti sovversivi dovunque, Governo compreso, ed era fermamente convinto che i suoi soldati desiderassero tradire e disertare. Anche se nella primavera del 1916 aveva saputo reagire con efficienza alla crisi prodotta dalla “Strafexpedition”, la rotta dell’ ottobre 1917 e il disfacimento della sua struttura di Comando sul fronte orientale provocarono un’evidente crisi di panico; la sua fuga verso Padova (da Udine sede dell’Alto Comando n.d.a.) decisa senza fornire alcun ordine di evacuazione e senza avvertire nemmeno le Autorità civili, lasciò nel caos le armate in pieno ripiegamento. La simmetria con la fuga dei Generali che avviò la dissoluzione dell’Esercito l’8 settembre 1943 è solo una delle spie che confermano quanto Cadorna fosse l’uomo sbagliato per condurre una guerra moderna…Alla dissoluzione della catena di comando, l’atteggiamento del Generalissimo, pronto a scaricare le cause della disfatta sui sottoposti e infine sul cedimento morale dei Soldati, contribuì in modo fondamentale..””

Ora qualche nostra riflessione.

Come entrò l’Italia nella “Grande Guerra”? Come abbiamo già scritto in passato, vediamo i materiali. C’è da dire che lo Stato Maggiore Italiano, tra i vari progetti di maschera antigas, tutti inefficaci, aveva incomprensibilmente preferito quella a forma di cono, con occhiali separati, che provò la propria tragica inefficienza proprio sul Monte San Michele, restando comunque in dotazione del Regio Esercito fino agli inizi del 1918. Quella delle maschere antigas fu una delle tante carenze nelle dotazioni logistiche, come anche nelle varie predisposizioni della guerra. Ricordiamo che agli inizi del conflitto  gli Austriaci con 14 Divisioni contro le 345 italiane erano già in allarme e preparati a ripiegare su posizioni difensive. Probabilmente, se il Generale Luigi Cadorna fosse stato più audace e meno attendista la guerra avrebbe potuto prendere un’altra piega, diversa da quella del logoramento in trincea e delle ripetute e ritenute inefficaci spallate delle 11 Battaglie dell’Isonzo. L’Italia era entrata in guerra con soltanto 30 aerei Blèriot, 20 Nieuport e 8 Farman, in quanto non ancora compresa l’importanza dell’ Aviazione, ma più grave, fu il non aver capito che la mitragliatrice era la regina della “piccolissima guerra” dei Fanti. L’Italia entrò in guerra con 618 mitragliatrici, due per reggimento, mentre gli Austriaci ne avevano due per battaglione. Le bombe a mano erano praticamente sconosciute, gli obici erano scarsi e forniti dalla Krupp. I fucili mod.1891, che venivano prodotti dalla Terni al ritmo di soli 2.500 al mese, erano tanto scarsi che parecchi reparti dovettero essere armati con il Vetterli mod.1870-’77. V’erano 3000 autoveicoli e 216 mila cavalli. Nonostante vari espedienti, il Capo di Stato Maggiore, Cadorna, nella prima fase della guerra, non era riuscito a fornire all’Esercito un numero sufficiente di Ufficiali. Riguardo al personale, sappiamo che vi era una ufficialità di carriera formata in gran parte da aristocratici militari di famiglie blasonate. Il Corpo Ufficiali venne ovviamente integrato e quindi furono istituiti dei corsi per Ufficiali di complemento che tentarono di trasformare dei giovani civili, diplomati e spesso anche laureati, in Comandanti di uomini. C’è da dire che il peso delle più cruente battaglie furono di loro competenza, tant’è che circolava il motto salace: “gli Ufficiali di Complemento vincono le battaglie, gli Stati Maggiori perdono…le guerre!” Si venne così a creare un vero e proprio “vallo di Adriano” tra gli ufficiali e la truppa, ma anche all’interno degli Ufficiali si creò una crasi tra chi il militare lo riteneva una missione e chi invece era stato costretto dai gravi eventi a diventarlo. Gli Ufficiali di complemento considerarono i colleghi “di professione” quasi degli avventurieri che per carriera o per compiacere i vertici non esitarono a comandare attacchi cruenti spesso inutili alla baionetta, necessari solo per avere un encomio o una promozione sul campo. Proprio per questo spesso gli Ufficiali di complemento solidarizzarono con la truppa, non condividendo gli atteggiamenti oltremodo rigidi degli Alti Comandi che erano ad Udine, lontani dalle trincee e dalla difficilissima vita che vivevano gli uomini tutti i giorni. Per reazione, il Generale Luigi Cadorna e il suo Stato Maggiore ritennero che un ruolo importante doveva essere assicurato dalla Giustizia Militare di guerra, quale unico strumento di disciplina ferrea con ruolo di rigida educazione e dissuasione di comportamenti ritenuti illeciti. L’azione del Comando Supremo si svolse facendo pressione sui Tribunali Militari perché non si discostassero dalle richieste sanzionatorie che avanzava la gerarchia e, accortosi che in alcuni casi i Collegi agivano in libertà di coscienza perché era preponderante il numero dei giudici Ufficiali di complemento che, più liberi di pensiero rispetto agli altri colleghi, in quanto provenienti dalla vita borghese, dal mondo del lavoro e degli studi, fece sì che nei collegi giudicanti l’elemento di militari di carriera fosse predominante. Ma sappiamo bene dalla storia dove portò la linea Cadorna, con fucilazioni di massa di asseriti disertori (addirittura “decimazioni”), mentre sarebbe stata più pagante quella di Armando Diaz, certamente più umana e attenta alle esigenze dei militari. Diaz, nominato Capo di Stato Maggiore dell’Esercito dopo Caporetto, non certamente perché più valido di Cadorna, come in effetti era, ma solo perché napoletano e quindi più vulnerabile e meglio censurabile in caso di eventuale definitiva disfatta, creò le premesse galvanizzando le truppe per la riscossa che si verificò, come sappiamo, con la Vittoria delle Armi d’Italia a Vittorio Veneto ( si combatté tra il 24 ottobre e il 4 novembre 1918).

Concludendo, lasciando da parte le gerarchie, rendiamo omaggio commosso e riconoscente ai nostri 651.000 Militari caduti e ai tanti Eroi che hanno evidenziato immane coraggio e valore nel nome dell’Italia nostra. Onore a Loro !!

Sulla prima Guerra Mondiale, nostri articoli:

– “Onore agli Alpini d’Italia…..lassù, nel “Paradiso di Cantore !” del 18 Dicembre 2012;

– “La vita di Fulcieri: onore ai Caduti! ” del  30 Novembre 2014

– “L’Eroico e leggendario Alpino Iginio Coradazzi nella Grande Guerra“, del 16 Dicembre 2015

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