Tematiche etico-sociali

Lara Ghiglione. Corrotti

Dentro gli affari criminali di élite e mafie

Roma, 10 dicembre 2021 – “Corrotti” il saggio di Lara Ghiglione, pubblicato a luglio scorso, analizza il fenomeno della corruzione nel nostro Paese, attraverso due diverse chiavi di lettura: quella più prettamente economica e giuridica e quella sociologica/criminologica.

Lo fa descrivendo i più importanti fatti di cronaca che sono ormai entrati a far parte della nostra storia per provare ad individuare modus operandi comuni e regole di un sistema ormai consolidato nel quale, spesso, le mafie rivestono un ruolo centrale.

La seconda parte è invece orientata a capire se esistono e quali sono i tratti di personalità comuni tra chi decide di mettere a repentaglio la propria vita professionale e personale, e il proprio riconoscimento sociale, per commettere questa tipologia di reato.

Alla fine, l’autrice prova ad individuare alcune azioni che sarebbe opportuno compiere per cercare di prevenire un reato che, ancora oggi, spesso, non suscita l’adeguata indignazione nell’opinione pubblica e una efficace risposta da parte delle istituzioni, nonostante i gravi effetti che esso può determinare nell’economia sana e nella vita dei cittadini.

Le conclusioni, del grande Magistrato Piercamillo Davigo.

Iniziamo a leggere parti dell’interessante libro.

– da pag. 13. Introduzione “”Secondo la World Bank il giro di denaro mosso ogni anno nel mondo per atti di corruzione si aggira intorno al miliardo di dollari; sempre a causa della corruzione, solo in Italia, si stima una perdita annuale di 236,8 miliardi di euro di ricchezza, il13% del Pil. Il fenomeno della corruzione ha radici lontane. Già nel Medioevo il mercato era caratterizzato dalla pratica della concussione: il più forte imponeva “una tassa” al più debole, ostentando, in questo modo, il proprio potere; accadeva nel sistema feudale, nelle signorie e nei principati. Nel ‘900 il ricorso a continui condoni e sanatorie, pratica molto diffusa dagli anni settanta sino alla prima decade del 2000, ha di fatto consolidato il principio che è legittimo “pagare” per infrangere le regole e poi sanare i propri comportamenti illegittimi, a discapito dei cittadini onesti. I continui condoni hanno veicolato il messaggio che è possibile guadagnarsi l’impunità anche quando si compiono reati economici e finanziari. Nel tempo questo è stato probabilmente vissuto come un incentivo a violare la legge. Nonostante la maggior parte dei rappresentanti delle istituzioni, dei partiti e delle imprese operi nella legalità e nel rispetto delle regole, l’evasione fiscale è diventata sistematica e la stessa cosa si può dire per i reati economici, in primis per il fenomeno della corruzione. La cosiddetta mazzetta è, a detta di qualche imprenditore, una delle condizioni per operare all’interno di alcuni settori di mercato e viene vissuta come un costo d’impresa dal quale si possono generare ingenti guadagni. Nonostante gli effetti negativi della corruzione sul mercato, sulla corretta competizione, sulla sicurezza delle infrastrutture e sulla qualità del lavoro siano ampiamente certificati, si tratta del reato che vanta più “giustificazioni” e teorie funzionaliste in assoluto. In Italia, si è affermata una sorte di morale della corruzione che, tra le altre cose, prevede che chi subisce una condanna per questa tipologia di reato possa poi tornare a rivestire ruoli dirigenti nella politica, nelle pubbliche amministrazioni, nelle aziende; a differenza di altri Paesi, nei quali chi commette di questi reati perde il proprio prestigio sociale, con enormi ripercussioni sui percorsi di carriera. La corruzione è un fenomeno sociale, politico ed economico complesso, contraddistinto da regole proprie, illegali e ratificate, che tende ad essere spesso trascurato dall’opinione pubblica, non adeguatamente censurato dalla politica e talvolta sanzionato in modo poco severo al termine degli iter giudiziari. Anche i numerosi interventi legislativi che si sono susseguiti dal 1992 ad oggi, con lo scopo di arginare la diffusione del fenomeno, hanno rilevato dei punti di caduta e numerose contraddizioni. Ma a prescindere dalla valutazione sulle riforme in materia di corruzione, che hanno spesso una connotazione più sanzionatoria, il punto su cui comunque tutti o quasi i giuristi concordano è la necessità, come per tutte le tipologie di reato, di agire sulla prevenzione per evitare che gli effetti nocivi per l’economia del Paese e per la sicurezza dei cittadini continuino a dilagare. Aspetto da non sottovalutare soprattutto da quando le mafie hanno capito che abbandonare i comportamenti violenti per investire nel mercato legale, attraverso il sistema della corruzione, avrebbe giovato al proprio potere economico e politico e al proprio consenso, anche e soprattutto nei territori del nord, dove esiste un’economia più florida e importanti investimenti.””

– da pag. 17. “”Cos’è successo in Italia? Il sistema. La corruzione in Italia è diventata un reato seriale e diffuso, spesso legato ad altri illeciti come il riciclaggio di denaro e i reati fiscali. A differenza di altre tipologie di devianza non riguarda solo soggetti appartenenti a subculture e in una condizione di disagio sociale ed economico, ma sono coinvolti anche esponenti della classe dirigente del Paese: politici, dirigenti, funzionari della pubblica amministrazione e imprenditori. Nella maggioranza dei casi, infatti, i corrotti sono uomini dello Stato, mentre i corruttori sono perlopiù imprenditori che hanno bisogno di autorizzazioni amministrative o cercano scorciatoie per vincere gare di appalto. La corruzione è spesso legata all’evasione fiscale: essa permette infatti di accantonare fondi neri da utilizzare per pagare le tangenti a politici o a burocrati. Le imprese talvolta arrivano anche a consorziarsi al fine di racimolare l’importo necessario per la tangente concordata. La corruzione è un reato complicato da intercettare visto che corrotti e corruttori condividono l’interesse comune a mantenere la segretezza del loro accordo illecito. Questo fa sì che i reati corruttivi emergano solo in caso di non rispetto del patto reciproco o del vincolo di segretezza. Non a caso, molti di questi reati sono stati intercettati a seguito di tagli alla spesa pubblica, specie riguardanti l’acquisto di beni e servizi, che hanno impedito il rispetto degli accordi illeciti. Solo quando un soggetto viene colto in fragranza, e soprattutto quando questo si sente scaricato da complici che hanno già confessato il reato, tende a parlare e a coinvolgere altri in un lungo effetto a catena. Come per i reati di stampo mafioso, vige l’omertà e non si ammettono testimoni, all’atto dell’accordo, fuori dalla cerchia dei soggetti coinvolti. Chi commette questa tipologia di reato, rimanendo impunito, tende a riprodurre il comportamento fraudolento ogni qualvolta se ne presenti l’occasione. I casi di corruzione sono così frequenti da non configurarsi più come un “meccanismo strutturale persistente”.
È con il boom edilizio degli anni 60 che la pratica della corruzione si è rafforzata tra l’élite politica, burocratica e imprenditoriale del Paese diventando un elemento consolidato nel mercato. Negli anni, la corruzione ha permesso a molte aziende di vincere gare di appalto che, in caso contrario, non avrebbe mai potuto aggiudicarsi: corrompere i burocrati significa acquisire gare per la costruzione di opere o per la gestione dei servizi facendo offerte al ribasso che non potrebbero reggere economicamente, ma confidando, sin da subito, su varianti e revisioni dei prezzi in corso d’opera, ottenute grazie a complicità del corrotto di turno. Attraverso l’offerta di lavoro in questo campo le mafie possono controllare il territorio e canalizzare consenso politico. L’analisi dei dati rileva anche un altro aspetto interessante; più è alto il costo delle opere pubbliche, più il valore economico della corruzione è elevato. Anche se esiste un’intensa relazione, non sempre la corruzione si lega all’infiltrazione mafiosa. Può infatti esserci corruzione senza mafia: quello che è accaduto in occasione della realizzazione del Mose a Venezia lo conferma. Le opere pubbliche interessate dal fenomeno della corruzione costano al nostro Paese dal doppio a sette volte più del loro lavoro. Con il costo finale della metropolitana di Milano, ad esempio, si sarebbe potuto costruire il doppio delle linee. L’aeroporto di Malpensa avrebbe dovuto costare 1.990 miliardi di lire, invece il suo costo finale fu di 4.220 miliardi; cioè il doppio. La corruzione è quindi un fenomeno che si verifica maggiormente nei territori più ricchi, dove il potere si esercita sia nel contesto politico che in quello economico. Solo con gli anni ’90, con l’esplosione di “Mani pulite”, si verifica la fine dell’impunibilità della corruzione. Tra il ’92 e il ’94 molti imprenditori si presentavano in Procura per autodenunciarsi, perché sicuri di essere stati scoperti e perché consapevoli dell’opportunità di evitare un processo che avrebbe gettato ombre sulla loro reputazione e provocato una cattiva pubblicità alle aziende; meglio confessare e patteggiare. Chi, al di fuori di queste motivazioni, decide di denunciare un episodio di corruzione rischia l’isolamento e l’emarginazione dal proprio contesto professionale, sia esso un funzionario, un politico o imprenditore.
L’Italia è situata tra gli ultimi posti della classifica riguardante la corruzione percepita; i colpevoli difficilmente si riconoscono tali, ma tendono a percepirsi vittime di un sistema e di persecuzioni giudiziarie o politiche.””

– da pag.111. “”Conclusioni del grande Magistrato Piercamillo Davigo. Negli anni novanta, l’emersione di un sistema di corruzione diffuso e consolidato, avvenuta in particolare grazie alle indagini e alle sentenze legate a “Mani pulite”, indusse a ritenere conclusa una fase piuttosto negativa per il Paese, caratterizzata da comportamenti illeciti esercitati da una parte del gruppo dirigente diffuso: la convinzione che sarebbe iniziata una nuova stagione rispetto alla prevenzione e al contrasto alla corruzione era, infatti, molto diffusa. Quello che accade nei decenni seguenti, invece, non confermò la discontinuità auspicata: soprattutto in occasione di eventi di particolare rilievo, contraddistinti da importanti investimenti pubblici e/o privati, il fenomeno della corruzione ha continuato a manifestarsi e ad emergere in maniera drammaticamente diffusa. Quello che emerge è una trasformazione di alcuni modus operandi e di alcune caratteristiche del fenomeno che lo studio ha provato ad analizzare; le evoluzioni più interessanti si possono riassumere in alcuni aspetti ben definiti. Non esiste più un sistema diffuso di finanziamenti illecito ai partiti ma i fenomeni corruttivi coinvolgono per lo più singoli esponenti di partiti; nel sistema della corruzione sono entrate a far parte a pieno titolo le mafie che, anche per questa finalità, hanno scelto di allontanarsi dai territori di origine per svolgere una buona parte dei loro affari al nord del Paese, soprattutto laddove sia possibile acquisire appalti ingenti per la fornitura di servizi o per la costruzione di opere pubbliche. Da questo punto di vista le risorse stanziate per uscire dalla crisi post Covid costituiranno una pericolosa attrattiva. Rispetto all’evidenza di un problema irrisolto la reazione del paese, dei cittadini e delle istituzioni manifesta molte contraddizioni: le rilevazioni sulla prescrizione dei livelli di corruzione descrivono come gli effetti nefasti di questo reato sull’economia, sull’occupazione e persino sulla sicurezza delle persone, soprattutto se ci si riferisce alla corruzione nei contesti degli appalti pubblici legati alle opere, non siano percepiti nella loro entità. Allo stesso tempo si riscontra una tendenza alla generalizzazione populista dei comportamenti illeciti attribuiti ai rappresentanti delle istituzioni. ”I politici sono tutti ladri”, “gli imprenditori tutti evasori”, “gli amministratori tutti corrotti”. Reazioni che spesso, nei territori, non corrispondono alle scelte e agli esiti elettorali, laddove si sceglie di rieleggere candidati coinvolti e, alcune volte addirittura condannati, in reati corruttivi. Ad influenzare la percezione della corruzione vi è anche l’annoso problema della scadenza dei termini di prescrizione, che in un numero elevato di iter giudiziari causa l’interruzione del percorso senza la possibilità di un giudizio di merito, e il fatto che le pene comminate siano spesso considerate poco severe. Dal punto di vista legislativo, si sono susseguite normative che avrebbero dovuto contrastare e prevenire in maniera più efficace il fenomeno della corruzione: nello studio vengono analizzati i progressi legislativi dell’ultimo decennio, ma anche evidenziati ritardi e carenze normative che avrebbero necessità di essere risolte per poter conferire maggiore efficacia a tali strumenti. ”Piercamillo Davigo””

Sin qui parti del libro. Ora integrazioni e valutazione del fenomeno tipicamente italiano con conclusioni.

L’autrice ha scritto qui riportandolo: “”Il fenomeno della corruzione ha radici lontane. Già nel Medioevo il mercato era caratterizzato dalla pratica della concussione: il più forte imponeva “una tassa” al più debole, ostentando, in questo modo, il proprio potere; accadeva nel sistema feudale, nelle signorie e nei principati…””

A questo punto, per integrazione, non possiamo non ricordare Napoleone Colajanni, esponente autorevole della politica dalla schiena dritta di un tempo ormai lontano, oggi impensabile, scrisse il suo libro “Nel regno della mafia”, centotredici anni fa. Bene, a giugno del 2013, il saggio, è stato ristampato dalla Bur- Saggi Rizzoli, con bella prefazione di Attilio Bolzoni.

Un libro da leggere, per capire! Vengono rivisitate “transazioni” e “relazioni amichevoli” fra boss e autorità statali e si racconta di Funzionari di Polizia che occultavano prove per proteggere uomini d’onore e picciotti; quindi, accordi, intrallazzi criminali e sodalizi.

Possiamo davvero e motivatamente affermare che la mafia cambia pelle ma è sempre la stessa; e l’aria che si respira, leggendo questo libro, ci porta a ritroso nell’Italia a cavallo tra i due secoli passati, per condurci per mano sino all’Italia di oggi.

Sembra scritto ai giorni nostri il libro di Napoleone Colajanni che, partendo dall’ omicidio di Emanuele Notarbartolo, ex Direttore del Banco di Sicilia, ucciso per essersi opposto agli interessi di “mammasantissima” e autorevoli boiardi di Stato, racconta la genesi della mafia d’affari.

Chi era l’autore? Siciliano di Enna, mazziniano, già garibaldino (in Aspromonte fu fatto prigioniero dalle truppe governative; nel 1866, tornato libero, si arruolò nei Carabinieri di Genova, prendendo parte agli scontri di Lodrone, Condino e Bezzecca, e poi, l’anno successivo, riprese a lottare al fianco di Garibaldi nell’ Agro Romano, ottenendo una Medaglia d’Argento al Valor Militare).

Divenne Deputato al Parlamento Nazionale, repubblicano, diventato famoso per avere denunciato con le sue formali prese di posizione il primo grande scandalo nazionale, quello della Banca Romana, che nel passato era stata la Banca dello Stato Pontificio, uno dei sei istituti che all’epoca erano abilitati a battere moneta in Italia.

Con le sue interpellanze parlamentari, e grazie a un dossier avuto riservatamente sugli illeciti dell’Istituto di Credito, l’Onorevole Colajanni, nel 1893, provocò con coraggiose denunce la caduta del Governo Giolitti; una vera e propria tangentopoli “ante litteram”! Un ammanco di 9 milioni di lire, enorme per l’epoca, con stampa di banconote false per favorire Ministri, Sottosegretari e Parlamentari, ma soprattutto per concessioni di mutui a imprenditori traffichini legati alla prima grande speculazione edilizia di Roma neo-Capitale. Ne conseguirono arresti nei confronti di persone importanti e ci furono anche funzionari della banca che si suicidarono.

Napoleone Colajanni, nel suo libro, scrive di mafia ma anche di corruzione e di vergognose operazioni bancarie, di accordi fra delinquenti e “galantuomini” del Parlamento, scrive anche di intese neanche tanto nascoste tra Giudici disonesti e di trame contro Giudici onesti, di depistaggi, di trattative fra Stato e mafia, di “oppressione legale e illegale”, di voto di scambio, di grandi elettori mafiosi. Narra, ancora, di ambiti politici di Destra e di Sinistra, di “anarchia di governo”, di “Ministri conniventi coi delinquenti”.

A cosa ci riporta tutto questo, se non agli avvenimenti degli ultimi anni in un’ Italia dove politica e banche e finanza spregiudicata si sono intrecciate?

Cosa dire di più? Forse è Colajanni stesso che ci illumina, nelle ultime pagine del suo libro, affermando: “Per combattere e distruggere il regno della Mafia è necessario, è indispensabile che il Governo italiano cessi di essere il Re della Mafia”.

Un secolo dopo, invece, l’intreccio crimine organizzato, mondo degli affari e politica si ripresenta in termini sostanzialmente immutati anche se sarebbe stato legittimo pensare che lo sviluppo culturale, economico e civile del Paese avrebbe cancellato questa aberrazione.

”Si può debellare la Mafia coi metodi mafiosi? Si può combatterla servendosi dei mafiosi nei momenti elettorali? Si può restituire ai cittadini colla iniquità fatta regola la fede nella giustizia? No, mille volte no!” L’ accusa dell’eminente Parlamentare è forte e micidiale, utilissima per capire bene le complicità tra segmenti dello Stato e logiche criminal mafiose, che ancora oggi inquinano il nostro Paese, purtroppo!

Ma allora, ai tempi lontani del nostro racconto, che successe? Nulla, ovviamente; tutto si placò, allora, come tutto si placa oggi, nelle vicende italiane. “Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato…” diceva il grande Eduardo De Filippo; sì, perchè basterà far “passà a nuttata”.

Infatti, Crispi, anche lui toccato dallo scandalo, uscì di scena, e Giolitti tornò a presiedere il Governo per ulteriori dieci anni della storia parlamentare italiana, i migliori, a dire di molti storici. Ma fu realmente così? Sembra proprio di sì, anche se il Fascismo creava le premesse della sua affermazione.

Più volte siamo intervenuti su questa testata per affermare che sul pianeta legalità nulla si fa!

Motivo? Perché ormai lo sanno anche i più disattenti e “lietopensanti” cittadini che è la nefasta politica a non volere modifiche importanti… e questo perchè i reati (praticati dai politici) di corruzione, frode fiscale, falso in bilancio possono continuare a essere commessi a piene luride mani…

Via, non siamo ingenui!

Concludendo, salutiamo senza pensieri augurali natalizi questa politica che da decenni ci ha ammazzato di tasse e ha ammannito mistificazioni, amnistie , indulti e benefici penitenziari, creando un anomalo “diritto impunitario”.

Invece, auguriamo Buon Natale a Te, grande Italia, ma svegliati!

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