Spettacolo

Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Alexander Lonquich direttore e solista nel Concerto n.4 di Beethoven

Per celebrare il 250° anniversario della nascita del genio di Bonn

Roma, 06 settembre 2020 – Malgrado le traversie di un anno ancora travagliato dai problemi della pandemia di Covid-19, l’Accademia di Santa Cecilia non ha fatto mancare il suo sostegno al pubblico che segue con amore e interesse la musica classica. Per tutta questa bollente estate le proposte musicali dal vivo nella Cavea, ancorate alle abituali accurate scelte artistiche si sono succedute con regolarità per tutti i mesi di luglio e agosto, come una testimonianza attiva di fede nella rinascita e un incoraggiamento a crederci. Tre brani compongono il bouquet messo a punto da Alexander Lonquich con l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia per celebrare il 250° anniversario della nascita di Beethoven, le cui opere hanno costituito il fil rouge dell’intero calendario. Sono tre momenti assai diversi dell’arte del sommo compositore, l’Ouverture dal Coriolano, il Concerto n.4 in sol per pianoforte e orchestra e la Fantasia corale: brani composti tutti fra il 1805 e il 1808.

Il genio creatore del grande Beethoven, esplora con il Concerto n. 4 in sol maggiore, nuove vie per l’amalgama fra suono solistico e impegno orchestrale, un’innovazione che chiude definitivamente la tradizione settecentesca e si apre a modalità espressive differenti: per la prima volta “solo” e “tutti” sono armonicamente equiparati in un corpo unico ed è il pianoforte ad intonare, nel silenzio iniziale, il primo tema di ispirazione romantica che sfocia come un ruscello in primavera nella ritmica martellante del secondo tema (ci sarebbe poi da dire quanto quelle note ribattute siano state d’ispirazione ad opere contemporanee, addirittura le si ritrova nella Rapsody in blue di Georg Gershwin, ma si potrebbe obiettare che sette sono le note!). È l’inizio di un dialogo serrato che continua per tutti i tempi del concerto e che nell’Andante con moto ha dato origine ad una tradizione secondo la quale Beethoven nei due temi (quello dell’orchestra e quello del pianoforte solista che si libra ad altezze sonore purissime), abbia voluto raffigurare il mito di Orfeo, il cantore divino, che, unico vivente, riesce in virtù della bellezza del suo canto a penetrare nell’Ade in cerca dell’amata Euridice. Il “Rondò” finale, infine, è pervaso da uno spirito di danza che permette al solista di fare davvero sfoggio di tutta l’abilità tecnica acquisita e di intervenire in profondità sull’interpretazione. Nella cavea del Parco della Musica, a dare omogeneità e coerenza stilistica al concerto, è la felice coincidenza di poter ascoltare nella duplice veste di solista al pianoforte e di direttore Alexander Lonquich, artista duttile e profondo, presente spesso nei cartelloni dell’Accademia sia in quello cameristico che, dal 2011, in quello sinfonico, musicista di grandissima esperienza, omaggiato nel corso della sua brillante carriera di importantissimi riconoscimenti come il “Diapason d’Or” della critica internazionale, il “Premio Abbiati” (come miglior solista del 2016) e il “Premio Edison” in Olanda.

A far da cornice al Concerto in sol, due composizioni. l’ouverture del “Coriolano”, e la brillante Fantasia Corale.

Tragedia oggi dimenticata di Heinrich Joseph von Collin, “Coriolano” è l’occasione per il compositore renano impegnato a scriverne l’Ouverture per fare brillare quel titanismo sonoro che caratterizza la sua opera, densa com’è di tinte forti e drammatiche che pervadono di irrequietudine l’inciso iniziale in do minore (la stessa tonalità d’impianto della Quinta Sinfonia, alla quale Beethoven lavorò in contemporanea in quel 1807 presso la corte del principe Lobkowitz, suo mecenate), ma anche sottolineata da momenti di magico lirismo nel secondo tema in mi bemolle.

A concludere il programma la Fantasia Corale, che il pubblico conobbe nel dicembre del 1808 come brano di chiusura di un concerto durante il quale si ascoltava, in prima esecuzione, anche la Quinta Sinfonia. La Fantasia riprende con aggiunte di Variazioni e del Coro (qui lo smagliante Coro ceciliano diretto da Vinci) il tema di un Lied composto da Beethoven anni prima, quando il compositore di Bonn aveva chiesto al poeta Christoph Kuffner di adattare a testo musicabile alcune poesie filosofiche di Schiller e Goethe, sottileandone l’esaltazione della bellezza della vita e la magica unione che in nome dell’Arte lega nobiltà e gioia.

La profonda giocondità della composizione, apprezzatissima dal pubblico presente, è stata poi replicata in uno dei due bis.

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