Diventiamo tutti bianconeri

Roma, 19 aprile 2017 – Questa sera, alle 20,45, la Juventus scende in campo al  Camp Neu   di Barcellona per  difendere il 3-0 di Torino  ed accedere delle semifinali di Champions League.
A poche ore dal calcio d’inizio di un match che può spalancare  la strada ad uno Storico Triplete da parte della formazione bianconera,  tanti sportivi italiani sono ancora sotto shock   per la cruda essenza del calcio italiano offerta dal derby tutto cinese fra  Inter-Nanchino e  Milan-Hong Kong.
Ovvero il calcio italiano, anche nelle sue società più storicamente insigni e popolari del mondo, è stato assimilato da investitori stranieri a partire da Inter, Milan, Roma e tante altre squadre professionitiche.
Questi potentati stranieri, principalmente cinesi ed americani,  non sono in Italia per fare alcuna beneficenza ma per mungere denaro.
Quello che lega al calcio l’italiano medio  è stato sempre lo spirito di appartenenza con  i colori di una squadra di calcio, una sorta di identificazione fra se stessi, una tradizione familiare ed una determinata squadra di calcio. Per un secolo e passa,  questa malattia, un tifo irrazionale,  ha legato a sé la vita ed il passatempo di generazioni di italiani. Spesso  un credo che facesse superare crisi economiche ed identitarie.
Ora sono arrivati cinesi ed americani  che hanno modificato tutto. Gente che ha ben compreso che un movimento che muove l’interesse di milioni di persone,  qualora ben gestito,  è business puro.
Le leggi finanziarie garantiscono, infatti, questa equazione:  datemi un bacino di utenza ampio  con  investimenti adeguati nell’ambito  della manipolazione di massa, ed è  matematicamente certo che  nel breve, medio e lungo periodo, ne deriveranno rendimenti  sempre più alti. 
Non più società di calcio al limite della bancarotta, ma club di football sempre più ricchi e lucrativi.
Fine, perciò, dei presidenti  che vanno in rovina per sostenere  la purezza del club e delle tradizioni di campanile.
Porte spalancate all’immissione di giocatori tutti stranieri.  Addio allo sviluppo di calciatori nostrani che costano troppo. Via libera al calcio-spezzatino in TV a tutte le ore ed in tutti i giorni.
Gli introiti del calcio arrivavano dal botteghino, dalla compravendita dei giocatori (lucrativa soprattutto per gli agenti),  dalla spartizione dei diritti Tv  e da rari sponsor.
Il calcio- business non guarda più a queste entrate  ma soprattutto al marketing legato al buon nome e rendimento della squadra ed ad altre forme di introiti poco pubblicizzate  ma di grandi rendimenti  quali:  iI settore commerciale  ed immobiliare promosso dallo stadio di proprietà;  il marketing del Logo ed  ultimo, ma non ultimo, la scuola di calcio.
Nel ventesimo  secolo, il calcio si è affermato perché sport che poteva essere praticato dappertutto dovendo disporre soltanto di un affare rotondo  che poteva essere anche  un cartoccio, ed uno spazio libero.  Niente di più semplice.
Tutti gli italiani (e non) hanno giocato questo calcio. I più scarsi finivano per giocare in porta. Bastava uno spiazzo libero, un prato di periferia, una piazzetta, una strada larga con poco traffico,   per improvvisare partite di calcio che duravano ore.  Il passatempo per chi marinava le lezioni con i libri a fungere da pali della porta. Se poi il ragazzo sentiva di saperci fare, c’era il passaggio all’oratorio del paesino  o del  rione. Quindi la scoperta del talent scout della piccola società di calcio della zona.
Un giochino che interessava milioni e milioni di giovani, portando alla scrematura dei campioni e del calcio professionistico.
Quel calcio povero non esiste più da tempo. Ora il football si impara e si pratica nelle scuole calcio dove vengono indirizzati milioni di ragazzini spinti da genitori che sperano di aver trovato una via verso  il successo economico, ovvero anche  un mestiere per sbarcare il lunario.
Dietro questa domanda di scuole calcio si cela il grande business sconosciuto del calcio del nuovo millennio.   I grandi club italiani di calcio dispongono (e gestiscono direttamente od indirettamente) di  decine e decine di scuole calcio sparse  del territorio.
Una volta, dopo l’oratorio, i più talentuosi venivano indirizzati  al   “provino”, come gli attori, per la squadra più eminente del territorio. Se promossi, accedevano alla scuola calcio del club, nella quale maturavano  agonisticamente, ma gratuitamente.
Attualmente alle scuole calcio accedono soltanto i ragazzini per i quali i genitori sono disposti (felicemente) a sborsare una solida quota annuale o mensile nel tentativo (assai raro) di fare crescere un campione. Migliaia, milioni  di giovani che, sborsando quote  con qualche zero, messi  insieme, producono introiti milionari.
Il calcio americano (statunitense) e quello cinese,  vivono e prolificano attraverso questo sistema, più sicuro e più programmabile.
In Italia la Juventus è all’avanguardia in questo senso. Esporta, a pagamento, la sua scuola calcio anche all’estero.
Inquadrato meglio l’attuale fenomeno calcio  in Italia, il pericolo è che questa colonizzazione  procuri conseguenze devastanti per questo sport e , comunque, per  l’equilibrio psico-sociale di tanti italiani che  avevano affidato al calcio la propria felicità, l’organizzazione della  propria vita quotidiana.
Di per sé questo non sarebbe certamente un guaio, se servisse a trovare valori culturali più elevati. Ma questo è un altro discorso.
In questo periodo di transizione, c’è solo da augurarsi   che i nuovi colonizzatori abbiano almeno la sensibilità di mantenere una parvenza di continuità con la tradizione calcistica italiana. Salvaguardando la presenza e lo sviluppo dei calciatori italiani. Come non fanno Inter, Roma, Napoli ed anche Udinese. E speriamo non lo faccia anche il Milan post Berlusconi.
Va bene la presenza della Tv e l’abilità della regia a non mostrare i vuoti sugli spalti, ma è pur certo che il pubblico è un elemento fondamentale dello  show. E, se si scolla il tifoso dal giocatore,  allo stadio a pagamento (anche salato) chi continua andarci?
Globalizzare è differente da colonizzare.
I  cinesi-americani ben vengano per globalizzare. Mettano pure in campo  gli strumenti di crescita economica più avanzati, ma rinunzino alla speculazione selvaggia nel loro interesse.  Non allontanino il giocattolo preferito dagli italiani.
I club europei più importanti insegnano quale sia la strada per globalizzare e crescere.
Ieri si sono qualificate alla semifinale di Champions, due club madrileni. Nel Real che ha eliminato il Bayern di Monaco dell’italiano Carlo Ancelotti  erano inserirti  6 giocatori spagnoli. Nell’Atletico (che ha eliminato il Leicester  ex Ranier), gli spagnoli erano  4 accanto ai sudamericani di lingua spagnola:  ma anche nel Bayern  i tedeschi erano 6.
Questi club vivono  economicamente molto bene.  Nell’Atletico la presenza nel consiglio di amministrazione del cinese più ricco al mondo,  Wang Janlin (con il 20 per cento delle quote) è garanzia   di gestione perché  ha interessi  in ogni dove ed in particolare è proprietario di quella società europea  (Infront) che gestisce in Italia i diritti Tv del calcio, nonchè l’immagine e la comunicazione di Milan, Roma, Lazio Genoa, Samp, Udinese e Palermo.
Anche la Juventus si muove ad altissimi livelli nel campo della globalizzazione, una strada che ha imboccato con grande anticipo.
Il suo modello si ispira alla salvaguardia del patrimonio calcistico italiano integrandolo con quanto di meglio si possa reperire sul mercato internazionale. Non  il viceversa.
Perciò  tutti gli appassionati di calcio traditi dalla colonizzazione hanno ancora una buona risorsa per continuare a dare un senso sportivo alla propria esistenza ed alle proprie abitudini. Quale? Diventare tutti juventini a partire da questa sera. Ciò va detto e sostenuto  prima (e non  dopo), il calcio di inizio a Barcellona.
A proposito, se il  Barcellona  dovesse riuscire nell’impresa di rimontare i 3 gol al passivo,  alle semifinali della Champions arriverebbero  tre club spagnoli su quattro squadre, alla faccia della non colonizzazione!!
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