Scudetto 1974: LAZIO.

Mezzo secolo fa si avvera il sogno della banda Maestrelli.

Roma, 12 maggio 2024.

 

 

<Fine della partita sono le 17,45 del 12 maggio la Lazio, che ha battuto il Foggia di misura e su calcio di rigore per 1-0, è CAMPIONE d’ITALIA>.

Queste le magiche parole pronunciate dal radiocronista Enrico Ameri, nella trasmissione “Tutto il calcio minuto per minuto”, al momento del fischio di chiusura sancito dall’arbitro Panzino di Catanzaro.

Parafrasando il maestro Sergio Leone, depositario della “Trilogia del dollaro”, molto modestamente chi scrive completa la “Trilogia dello scudetto biancoceleste” del 1974.

Il primo racconto, pubblicato lo scorso 31 marzo, relativo al derby vinto dalla Lazio per 1-2 alla 23° gara, nella giornata iconografica di Giorgio Chinaglia con il dito puntato verso la curva sud giallorossa.

Il secondo racconto, pubblicato due settimane dopo, il 14 aprile, dove la Lazio supera il Verona per 4-2 al termine di una storica rimonta dopo un primo tempo da tragedia greca.

Cinquant’anni fa, il 12 maggio 1974, è una giornata caldissima con la Capitale in fibrillazione perché oltre alla decisiva partita all’Olimpico tra Lazio e Foggia ci sono anche i seggi aperti per le votazioni referendarie sul divorzio.

Mancano due giornate alla fine del torneo 1973/1974 e i biancocelesti hanno tre punti di vantaggio sulla Juventus, per cui se vincessero la loro gara sarebbe matematicamente scudetto.

La vittoria all’epoca valeva due punti.

Al di là di un entusiasmo dilagante, per parecchi laziali è ancora vivo il finale della stagione precedente quando a pochi minuti dalla fine dell’ultima partita svanì il sogno tricolore.

Quando nella vita calcistica di un giovane diciottenne sono più i bocconi amari ingoiati che le soddisfazioni avute capite bene che lo stato di tensione è massimale, perché inevitabilmente si pensa a cosa può andare storto.

La dimensione raggiunta, di una squadra che da due anni abbaglia la penisola con un gioco spumeggiante, di poter lottare con gli squadroni inarrivabili del nord è qualcosa che induce a pizzicarti perennemente per capire se è tutto vero.

Il sabato sera che precede la domenica mi ritiro nella mia stanza fuori da ogni contesto sociale, nessun amico, ragazze neanche a parlarne, come fossi io che l’indomani dovessi scendere in campo.

Si dorme poco con continui passaggi mentali a pensare come andrà a finire. Almeno avessi avuto la distrazione dei social…

Finalmente è domenica ed io sono già pronto di prima mattina e con il mio sodale Marco raggiungiamo lo stadio alle 11, ben cinque ore prima dell’inizio gara programmato per le ore 16.

C’è il tutto esaurito, 85.000 spettatori, ognuno con qualcosa di biancoceleste, addosso o in mano, per uno spettacolo mai visto; grande emozione.

Il tempo non passa mai, i panini che mi ero portato neanche li ho guardati, se qualcuno in quel momento volesse pugnalarmi al costato si romperebbe il pugnale…

Alle ore 16 finalmente s’inizia e la gara si snoda tra difficoltà mai incontrate durante la stagione, complice un caldo feroce e poi il piccolo, si fa per dire, particolare che anche il Foggia si sta giocando la vita, ossia la permanenza in serie A.

Si va al riposo sullo 0-0, la Juventus sta vincendo contro la Fiorentina, per cui il vantaggio sui bianconeri si riduce a soli due punti e all’ultima giornata si va in trasferta a Bologna.

Il clima è opprimente, poca voglia di parlare, l’incubo della beffa è dietro l’angolo anche perché la prestazione della Lazio non è quella delle migliori giornate.

Si riprende con la Lazio all’attacco e dopo un quarto d’ora la svolta per un calcio di rigore assegnato ai biancocelesti per fallo di mano in area del terzino foggiano Scorsa.

Si perde un po’ di tempo per le proteste avversarie, intanto Chinaglia, già col pallone in mano, si appresta a calciare la massima punizione dagli undici metri.

Vicino a me gente che trema, che non vuol vedere il rigore, imprecazioni e le preghiere più strane che vengono interrotte da un serafico signore che dispensa ottimismo e sicurezza: < Ahò ma state tranquilli, nun ve preoccupate, quello è Giorgio. Ahò quello è Giorgio!>.

L’arbitro fischia la ripresa del gioco, Chinaglia prende una lunga rincorsa, parte il tiro e gonfia la rete spiazzando il portiere del Foggia.

Il boato dell’Olimpico è impressionante, liberatorio.

Nella mia vita di tifoso né sentirò un altro simile tredici anni dopo, in un Lazio-Vicenza drammatico, per una rete di Giuliano Fiorini che ci salvò dal baratro della serie C.

La mezz’ora finale è un continuo guardare più l’orologio che la gara e alla fine, al triplice fischio del sig. Panzino, finalmente il sogno diventa realtà.

Lazio dunque Campione d’Italia; è incredibile pensare a soli due anni prima quando mi trovavo a Bari a festeggiare il faticoso ritorno in serie A.

Tanti aneddoti, tanti ricordi, la consapevolezza, come tifoso, che forse il vento è cambiato che finalmente si può rimanere al tavolo con i grandi di sempre.

Non sarà così, la favola che nacque nell’estate del 1972 terminerà definitivamente i primi di dicembre del 1976 con la scomparsa del vero artefice del miracolo biancoceleste: Tommaso Maestrelli.

Il Mister, il Maestro, è stato capace, al di là di elevate competenze tecniche, di coagulare una serie di personaggi che presi uno per uno sarebbero stati dei leader in ogni squadra diversa.

Maestrelli li ha tenuti uniti e dediti alla causa grazie ad un lavoro psicologico eccezionale.

La Lazio è stata un Unicum, un fenomeno a parte in un contesto sociale particolare come poi è stato studiato e certificato negli anni successivi.

<La Lazio è una cordiale distillatrice di emozioni> dirà Sergio Borgo, uno dei più giovani componenti della rosa laziale, che qualche anno più tardi diventerà un perno importante della Pistoiese insieme a Mario Frustalupi.

E allora mi piace ricordare una battuta di Maestrelli che a precisa domanda sul giocatore ideale, da fabbricare in laboratorio, per la Lazio del futuro disse:<Prenderei lo slancio di Wilson, l’aggressività di Martini, il fiato di Re Cecconi, la tecnica di Frustalupi, ma soprattutto la gran voglia di vincere, di vincere sempre, di Chinaglia>.   

Ricordiamo dunque questa banda di scapestrati, secondo la formazione-tipo che veniva riportata dai tabelloni dell’Olimpico:<Pulici; Petrelli, Martini; Wilson, Oddi, Nanni; poi il tabellone riportava prima l’ala destra, Garlaschelli, poi l’ala sinistra, D’Amico, mezz’ala destra, Re Cecconi, mezz’ala sinistra, Frustalupi, e poi il centrattacco, CHINAGLIA>.    

Certo qualcuno potrà sorridere e stupirsi che, alle nostre latitudini, si festeggi e si ricordi ancora un evento di cinquant’anni fa.

E’ un approccio al tifo, al senso d’appartenenza, che gli opulenti sostenitori della triade del nord non arrivano a comprendere.

Per un giovanotto che ha vissuto la propria adolescenza nel mito dello sport, del calcio in particolare, dei suoi protagonisti raccontati da cantori straordinari, è stato un percorso incredibile vissuto tutto d’un fiato.

Anche e soprattutto nel ricordo e nella gratitudine di chi non è più con noi.      

 

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