Racconti di sport

Rivelino: il 10 con la 11

Rivelino: uno dei campioni più amati del Brasile figlio di emigranti italiani arrivati da Macchiagodena.

Roma, 25 dicembre 2020 – “L’ho visto il Brasile del ’70. Pelé era Pelé. Ma io non avevo occhi che per lui: Rivelino. Forse perché era mancino come me”. Parole di Diego Armando Maradona.

Roberto Rivelino, in quella squadra di fenomeni che vinse la Coppa Rimet in Messico nel ’70 per la terza volta, portandosela per sempre in Brasile, giocava con la maglia n.11.

Perché la 10 era del campionissimo, Pelé, tornato in nazionale per volere del potere e per volontà del popolo.

Altrimenti, quella 10 che tanto amava, l’avrebbe indossata proprio lui. Il baffo, capitano del Corintihians, che “in campo faceva quello che voleva”. Sempre parole di Maradona, che per lui aveva una vera e propria venerazione.

Rivelino aveva un tiro di sinistro forte e micidiale ed era abilissimo nel dribbling, tanto che è stato proprio lui ad inventare il cosiddetto “elastico”.

Un dribbling nel quale la palla resta incollata al piede di chi lo effettua apparendo e scomparendo dalla vista del difensore che lo sta marcando.

Poi Rivelino era tatticamente intelligentissimo. Dote che non guastava nel “futebol bailado” del Brasile di fine anni ’60 inizio anni ’70.

Perché è grazie alla sua intelligenza tattica che il Ct Zagallo è riuscito a farlo giocare insieme a Palé e a tutti gli altri campioni che aveva a disposizione senza aver temere di perdere l’equilibrio di squadra.

Che è la dote fondamentale per una squadra che mira a diventare Campione del Mondo.

Titolo che Rivelino vinse nel ’70 accanto a Pelé ma che poi, nel ’74 in Germania e nel ’78 in Argentina, non riuscì a bissare.

Ecco, possiamo dire che lui è stato il diretto erede di Pelé e il padre di un altro immenso n.10 del Brasile, Zico, che appare sulla scena internazionale proprio alla fine dei ’70 e all’inizio degli ’80.

Rivelino era figlio di emigranti italiani partiti per il Brasile da Macchiagodena, un paesino in provincia di Isernia, in Molise. E il suo vero cognome era Rivellino, con due L.

Ma benché lui tenesse molto a questa doppia L nessuno lo ha mai chiamato così. E alla storia è passato come Roberto Rivelino. Con una L sola.

Pazienza, avrà pensato alla fine. Tanto grazie alle mie “fucilate” di sinistro (con il quale calciava punizioni imparabili) e a quello che ho fatto sono entrato lo stesso nella storia del futebol.

Anche se tutti lo ricordiamo con la maglia n.11 del Brasile sulle spalle e non con la sua amata n.10.

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