Racconti Di Sport- Rugby Sambuca – Parte Seconda: i Caciottari

Una strada in salita

Roma, 10 settembre 2020 – Per il Civitavecchia Rugby, dal capostipite Palomba di cui abbiamo narrato nella prima parte il 05 settembre ai giorni nostri, un viaggio sempre in salita, all’insegna del “meglio tardi che mai”.

In primo luogo la convivenza difficile con il football, rappresentato dalla S.S. Civitavecchiese di casa allo stadio cittadino Fattori (dedicato non al celebre Tommaso, ma all’omonimo Giovanni Maria ex presidente della Società calcistica nerazzurra), che ai rugbisti era invece precluso; la mancanza di un campo stabile di allenamento e di gioco alimentò per molti anni il complesso da figli di un Dio minore e la frustrazione, sino alla tardiva conquista del Campo dell’Oro. E poi la rincorsa alla promozione in serie B sfuggita più volte, la conquista del primo trofeo, modesto ma dal valore simbolico, solo nel 1989, i tentativi di conseguire unità di forze e intenti: tutto è stato difficile e sofferto da queste parti. Ma onestamente l’autore individua che la causa di molti passi indietro vada ricercata nella “civitavecchiesità”, forza cosmica che spinge all’indisciplina, all’incostanza e alla divisione generatrice di debolezza (forse anche più di quanto l’unione produca la forza).

Gli albori e la crescita del resbi civitavecchiese (così si è meravigliosamente trasformato il nome dello sport nel dialetto locale), sono popolati di giovanotti esuberanti, in gran parte orientati a sinistra ma con qualche fascista, però unitissimi tra loro nelle partite e nelle risse in cui queste sovente evolvevano; non a caso uno dei capitoli del libro si intitola “La porti un cazzotto a Firenze”. Speciale antagonismo con gli acerrimi rivali di Viterbo, una serie di derby dell’Etruria meridionale decisi spesso più dal numero degli espulsi che dalle prodezze di gioco.

Decenni di storia si dipanano lungo le pagine, sino ad arrivare al 1989, anno di fondazione del Club Rugbistico Centumcellae, nuova realtà alternativa e concepita con approccio innovativo e non “contro”, una sorta di Barbarians locali. E poi l’onda Tangentopoli, uno tsunami che arrivò nel 1993 sino sulla costa tirrenica travolgendo, con il collasso della malapolitica, anche l’U.S. Civitavecchia Rugby. Nel 1995, anno della Madonnina lacrimante, un nuovo avvio con le maglie rosse del Centumcellae in Serie C, sino all’inaugurazione nel 2002 del nuovo impianto cittadino “Moretti – Della Marta”, casa comune di rugby e atletica leggera. E l’inaspettato trionfo degli Old Rugby Civitavecchia nell’European Golden Oldies a Benidorm (Spagna) nel 2004, raduno di seguaci della filosofia “rugby e cervogia”, e la successiva spedizione in Lapponia per la competizione di Artic Rugby, che sancì finalmente l’unificazione delle anime della palla ovale cittadina nella nuova società Civitavecchia Rugby Centumcellae.

Nonostante questa storia travagliata, la passione rugbisticada Civitavecchia si propagò, nei decenni successivi alla fondazione, nei paesi dell’entroterra (Tolfa, Allumiere, Oriolo Romano, Montevirginio) in cui la disciplina ha profondamente attecchito; tra tutti gli epigoni si menziona l’oriolese Anacleto Altigieri, pilone sinistro, che assieme al suo alter ego Ambrogio Bona, formava le colonne della mischia della Rugby Roma degli anni ’70 (e con il tallonatore frascatano Paoletti una leggendaria prima linea della nazionale).

Gli eroi locali
La narrazione di Catalani trabocca d’affetto per i suoi eroi locali, li cita praticamente tutti. Spiccano quelli dai nomi bizzarri, che sembrano usciti dal Bar Sport di Benni: Milvio Mondelli, una sorta di John Belushi locale, chiamato ‘Er Pirata’ (da tutti, inclusa la consorte); Ceres (è un soprannome legato alla passione per la celebre cervogia danese); Cicoria, che invece è il cognome, non un nickname; Enrico Toti, di cui sono reali in questo caso sia nome che cognome, ci stanno bene per un difensore di quella trincea che è la linea di meta. È una bella storia, in cui l’autore Danilo, ha la fortuna di poter parlare dei suoi fratelli Mauro e Marco, che assieme a lui sono arrivati ad indossare simultaneamente la stessa maglia, molto prima dei celeberrimi tre Barrett neozelandesi. E del barbuto Guerrino Buso detto Sergio, trasportatore di formaggi, grazie a cui alla squadra si appiccicò in senso dispregiativo l’epiteto di “Caciottari” (ma poi orgogliosamente rivendicato nella ‘haka’ locale “Se non ci conoscete guardateci nel muso, noi siamo i rugbisti del caciottaro Buso!”); di Sambuchi, un destino nel nome come personaggio di questa vicenda; di Felice Raponi, il civitavecchiese con il curriculum agonistico più prestigioso (96 presenze in serie A con la Rugby Roma, che per sorte beffarda lasciò la stagione prima dello scudetto del 2000 per poi ritornarci), che fu compagno di squadra di campioni del calibro di ZinzanBrooke (nella S.S. Lazio) e di WayneShelford (nella RR); del geologo Dario Tinti, a cui va la palma di eleganza di gioco; poi gli stranieri, tra tutti il sudafricano François Bonthuis e l’argentino Ricky RodriguezAramburu, che suscitò nel cuore dei civitavecchiesi tanta ammirazione (quasi quanto la sua bellissima moglie).

E di tanti altri personaggi (Tronca, Diottasi, Mazzarini), ma bisogna fermarsi qui, chiedendo venia per le omissioni.

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