Puli-settanta

I settanta anni di Paolino Pulici. L’attaccante che per tutti divenne “Puliciclone”

Roma, 22 aprile 2020 – Non so se avete avuto la fortuna di veder giocare Paolino Pulici, che il 27 aprile compirà settanta anni. Se la risposta è no possiamo dirvi che quando oggi vedete segnare un gol in acrobazia o di potenza, di testa in tuffo o con una mezza rovesciata o un tiro al “fulmicotone” (come si diceva quando giocava lui), beh, sappiate che per noi è un film già visto. Perché Paolino Pulici da Roncello, piccolo comune lombardo vicino al fiume Adda, dove è nato, di gol così ne segnava a raffica, tanto che ancora oggi è il miglior marcatore della storia del Torino con 171 reti totali, tra campionato e coppe. Tre volte capocannoniere della Serie A (1973, 1975 e 1976) quando in campo c’erano fior di attaccanti  come Boninsegna (che vediamo insieme a lui nella foto in un derby di Torino), Anastasi, Savoldi, il suo gemello Graziani e il mitico Riva. Mica scherzi. E proprio se ripensiamo a lui e a Gigi Riva ci rendiamo conto che erano due vere icone di quegli anni ’70 tremendamente più belli di quelli che stiamo vivendo. Non solo nel calcio, ma anche nella musica e nella fantasia al potere che alimentava i sogni della gente, che oggi non sogna più, già da prima del coronavirus. Simboli di potenza e testosterone, uomini paragonabili agli eroi dell’antichità perché con le loro gesta pallonare hanno portato davvero la rivoluzione nel pallone, trascinando due squadre diverse ed antagoniste delle solite tre big a vincere scudetti che ancora oggi celebriamo. Quello del Cagliari di Riva del 1970 e quello del Torino di Pulici del 1976. “Rombo di tuono” il primo, “Puliciclone” il secondo. Soprannomi che indicavano lo strapotere fisico e tecnico di questi due lombardi (il primo di lago, il secondo di fiume) che hanno animato le domeniche dell’Italia del pallone di quel decennio. Accomunati dall’11 sulla schiena e dalla fedeltà alla squadra che hanno reso grande e che li ha resi grandi, al punto di farli entrare nella leggenda non solo sua, ma dell’intero calcio italiano. Due tipi schivi e riservati nella vita, ma che in campo si ergevano al ruolo di trascinatori e condottieri e che si esaltavano nel combattere quel potere costituito, rappresentato dalla solita Juventus, che poi sono riusciti a sconfiggere. Solo per un attimo, è vero, ma quell’attimo è rimasto nell’eternità. Auguri “Puliciclone”. Di vero cuore. Anche se non “Toro”, perché ognuno tifa per la sua squadra. Ma quella nella quale hai giocato tu e con la quale hai vinto insieme a mister Radice, ai due Sala (che si chiamavano allo stesso modo ma non erano neanche cugini), al tuo gemello Graziani, all’elegante Zaccarelli, al “giaguaro” (chi se non lui?) Castellini, all’Eraldone Pecci e a tutti gli altri ci è rimasta e ci resterà sempre nel cuore. Anche perché noi siamo tra quelli che hanno avuto la fortuna di vederla giocare dal vivo. Impossibile dimenticarla, come è impossibile dimenticare quel tricolore cucito sulla maglia della stagione seguente con il Toro rampante al centro che ha fatto diventare il Torino l’unica squadra campione d’Italia che ha messo il suo simbolo sopra lo scudetto.

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