Spettacolo

Teatro Eliseo – Americani di David Mamet, Premio Pulitzer 1984 per aprire la stagione

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Roma, 28 settembre – Il problema è tutto in quella piramide che l’uomo occidentale è costretto a salire gradino per gradino, conquistando postazioni sempre più alte, sempre più instabili, a qualunque costo, dove il successo è misurato solo sulla capacità di condurre business, dove il rischio di uno scivolone durante la scalata è sempre in agguato, dove l’etica deve fare i conti con il confronto e la competitività. Una società, raccontata da David Mamet in “Glenngarry Glen Ross”, che ha smarrito per strada i valori morali, gli ideali arrivando persino al crimine pur di ottenere vantaggi economici. Oggi, questo dramma, che è valso all’autore il Premio Pulitzer nel 1984, che è stato adattato per lo schermo diventando nel 1992 un movie firmato da un regista, nemmeno tanto famoso, come James Foley, ma con un irripetibile cast stellare con Al Pacino, Jack Lemmon, Alec Baldwin e Kevin Spacey, tradotto da Luca Barbareschi, ha inaugurato con il titolo “Americani” la stagione del prestigioso Teatro Eliseo. E’ stata una serata particolare che, sensibilmente Barbareschi, che cura i due teatri Eliseo, ha voluto destinare alla beneficienza in favore delle popolazioni colpite dal recente terremoto. Allo scopo, a fine proiezione è stato offerto al pubblico un piatto di amatriciana innaffiato tra l’altro dal “Tognazza”, vino prodotto nelle cantine di Gianmarco Tognazzi. Barbareschi, che ha annunziato al pubblico in sala con orgoglio il successo dell’iniziativa che ha permesso di raccogliere circa 25.000 euro devoluti interamente alle popolazioni colpite dal sisma, è un grande estimatore di Mamet al quale ha dedicato una trilogia: “China Doll” con un memorabile Eros Pagni nella passata stagione e nel calendario in corso due inaugurazioni, con “Americani” all’Eliseo e  “American Buffalo” al Piccolo Eliseo.

Il testo di Mamet, riletto da Sergio Rubini che ne cura una regia intelligente, riservando per sé il ruolo di Daniele Sonnino ( come è stato ribattezzato in italiano Shelley Levene, sullo schermo Jack Lemmon), è ambientato nello stesso periodo del dramma, in una agenzia immobiliare italiana che vende terreni e villette. E’ un’epoca storica, quella degli ’80, che vuole liberarsi in fretta di tutte le ideologie che avevano connotato gli anni precedenti, quel sessantotto che voleva la fantasia al potere e cercava di fare emergere l’essere sull’avere. L’uomo marchiato dall’edonismo reaganiano (Ronald Reagan condusse le sorti degli USA e del mondo dal 1981 all’89) vuole avere, avere senza limiti, stritolato dal mostro Capitalismo che fa del possesso e delle apparenze la sostanza della vita occidentale.

Nel microcosmo di un’agenzia immobiliare, dove si separano con linee nette di demarcazione i vecchi dai giovani, condotto con asettica, disumana, gelida efficienza da “Tommaso Mariani” ( uno strepitoso Gianmarco Tognazzi) viene messa a punto una strategia incentivante: chi venderà di più avrà in premio un’ auto di prestigio, Al secondo andrà un servizio di posate, ma dal terzo posto in poi c’è pronto il licenziamento immediato. Ed ecco la fibrillazione tanto temuta da tutti, arrivare come un diluvio, ecco il “vecchio maestro” Sonnino implora di ottenere “contatti” sicuri, schede di probabili acquirenti cui far visita, quelli più certi, i più ricercati, perché facilmente solvibili e pronti a lasciarsi irretire. Quelli che nelle cronache non solo in America ma anche in Italia hanno acquistato mutui subprime, derivati pericolosi, titoli spazzatura, scandali mondiali come quello che coinvolse la Lehman Brothers che offrivano eldoradi argentini e sono ancora in attesa di un risarcimento.

Educati da “motivatori” agguerriti, i venditori diventano spietati, pronti a lanciare sul mercato qualsiasi cosa a qualunque costo. specialisti della parola, anzi essi stessi la Parola capace di irretire, di trasformare tutti in consumatori, di aizzare le smanie del possesso e del buon affare imperdibile, di convertire il nero in bianco, subdoli e insinuanti come serpenti, senza scrupoli al punto da potere accalappiare un omino timido e impacciato, come Gianni Boni (Giuseppe Manfridi, anche commediografo di successo), gravato da una moglie lucida e combattiva, cui far firmare un assegno che dovrebbe testimoniare le capacità di convincimento del miglior venditore Riccardo Roma (Francesco Montanari). Ma anche il vecchio Sonnino sembra conoscere finalmente dopo tanta sfiga un momento di successo pieno, lo dice il suo ritorno trionfale in agenzia dopo aver concluso un affare di cento milioni. Ma gli acquirenti sono una coppia ben nota che si diverte a firmare assegni in bianco per passare il tempo.

È un incubo senza risveglio, un gioco al  massacro che disintegra la morale, la dignità e l’integrità di questi piccoli uomini proiettati senza pietà verso un futuro dove bussa ferocemente alla porta della loro vita lo spettro della disoccupazione risvegliato dalla crisi, trasformandoli persino in ladri e scassinatori. Con quelli già citati, va segnalato il resto del cast scelto con cura ed efficienza, Roberto Ciufoli (Giorgio Arnone) Gianluca Gobbi (Giacomo Mossa) e Federico Perrotta (Ispettore Balducci). Le scene sobrie ed essenziali sono di Paolo Polli, i costumi calibrati sui personaggi di Silvia Bisconti, le luci curatissime di Iuraj Saleri.

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