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Arrestato il killer che ha ucciso Charlie Kirk

Charlie Kirk, fondatore di Turning Point USA e leader della destra giovanile americana, è stato ucciso a 31 anni in un campus nello Utah. Arrestato il presunto assassino, il 22enne Tyler Robinson. Provocatore e controverso, Kirk divideva l’opinione pubblica, ma la sua morte ricorda una verità universale: le idee si combattono con altre idee, non con le armi

Il presunto assassino di Charlie Kirk, l’attivista conservatore ucciso l’11 settembre nello Utah, ha un nome: Tyler Robinson, 22 anni. Un ragazzo ordinario, senza precedenti penali, studente in una scuola per elettricisti. È stato il padre Matt, un veterano di 27 anni del Dipartimento dello Sceriffo della Contea di Washington, a riconoscerlo nelle immagini diffuse dall’Fbi, a raccogliere la sua confessione e a convincerlo a costituirsi con l’aiuto di un pastore evangelico. Quando la Polizia lo ha prelevato a casa, indossava ancora la felpa ripresa dalle telecamere di sorveglianza. Sua madre, Amber Robinson, lavora per l’Intermountain Support Coordination Services, un’organizzazione che aiuta le persone disabili a ricevere assistenza.

Sui proiettili inesplosi trovati sul luogo dell’agguato, Robinson aveva inciso frasi offensive e provocatorie: «Hey fascista! Prendi questo», «Oh bella ciao», «Se stai leggendo questo, sei gay». Messaggi che raccontano più rabbia che ideologia, e che rischiano di diventare simbolo di una violenza politica che corrode ogni spazio di dialogo. Incideva frasi d’odio sui proiettili. Ma la violenza non può mai essere risposta

Charlie Kirk, leader discusso e influente

Kirk aveva solo 31 anni, ma con Turning Point USA, fondata a 18 anni, aveva costruito la più grande organizzazione giovanile conservatrice del Paese. Presente in migliaia di campus, TPUSA è stata decisiva nella rielezione di Trump nel 2024, raccogliendo decine di milioni di dollari.
Kirk era divisivo, provocatore, spesso contestato per le sue dichiarazioni su razza, identità di genere e “woke culture”. Eppure era seguito da milioni di giovani: oltre 7,5 milioni su Instagram, 7 su TikTok. Non era un politico eletto, ma un catalizzatore di energie e conflitti generazionali.

L’11 settembre, alla Utah Valley University, Kirk stava rispondendo a una domanda sulla violenza quando un colpo di fucile lo ha raggiunto. È morto davanti a studenti e simpatizzanti.

Le reazioni di Trump e Tajani

Donald Trump, che lo ha definito “un ragazzo brillante”, ha augurato la pena di morte per l’assassino: «Spero che venga condannato a morte». Toni durissimi, in un clima già incandescente.
L’ex presidente Bill Clinton ha invitato alla calma: «Serve introspezione, affrontiamo i dibattiti con passione ma pacificamente». Barack Obama ha parlato di «violenza spregevole che non ha spazio nella democrazia».

E dall’Italia, il vicepremier Antonio Tajani ha aggiunto parole che suonano come un monito:
«La violenza verbale e la criminalizzazione del pensiero altrui possono accendere lugubri pensieri in menti malate che, all’insegna dell’odio, compiono gesti criminali come quelli che hanno provocato la morte di Charlie Kirk. Chi la pensa diversamente da noi non è mai un nemico, ma un avversario con cui confrontarsi».

Oltre l’odio dai social

In queste ore, tra social e commenti, qualcuno dice: “se l’è cercata”. Ma nessuna idea, per quanto divisiva, può giustificare un proiettile. Dire il contrario significa accettare la violenza come strumento politico. E questo non deve passare.

Kirk lascia una moglie, Erika, e due bambini piccoli. Lascia un movimento che continuerà, forse con più rabbia, forse con più energia. Ma lascia soprattutto una domanda: quale futuro ha una democrazia che permette all’odio di diventare arma?

Perché, al di là delle simpatie e delle antipatie politiche, resta un principio semplice: le idee si combattono con altre idee, mai con le armi.

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