Zero vacanze per 42 milioni di persone nell’Unione Europea
Il sogno di un'Unione Europea prospera e fondata sull'equità sociale si scontra, ancora una volta, con una realtà cruda e impietosa: zero vacanze per 42 milioni di persone nell’UE

Finiti gli annunci riguardanti la prosperità e il benessere grazie a euro e Unione Europea, ecco la drammatica realtà: zero vacanze per 42 milioni di persone nell’UE. L’impossibilità di staccare la spina, perché non ci sono soldi. Tutti i quattrini finiscono in tasse e bollette, per iniziare.
L’annuncio, più che una notizia, è un campanello d’allarme: nel 2023, il 15% dei lavoratori dell’Unione Europea, una cifra impressionante che si traduce in circa 42 milioni di persone, non ha potuto permettersi neppure una settimana di ferie lontano da casa. Una fotografia desolante di un continente a due velocità, dove la vacanza, diritto universale e fondamentale per il benessere psicofisico, si sta trasformando in un privilegio per pochi.
Chi ha fatto l’analisi
L’analisi di Eurostat, ripresa dalla Confederazione Europea dei Sindacati (CES), rivela una tendenza allarmante: la povertà delle ferie è in aumento per il terzo anno consecutivo. Se nel 2022 erano 40,5 milioni i lavoratori che si trovavano in questa situazione, un solo anno dopo il numero è salito di oltre un milione. Un incremento che non è solo una variazione statistica, ma il riflesso di un tessuto sociale ed economico che si sta sfilacciando, sotto la pressione di inflazione galoppante, salari stagnanti e un costo della vita sempre più insostenibile. Ma per capire veramente la portata di questo fenomeno, è necessario andare oltre le percentuali e immergersi nelle storie di chi si vede negato il riposo meritato.
L’anatomia di un’esclusione sociale
La povertà delle ferie è un concetto che va ben oltre la semplice rinuncia a un viaggio. È un indicatore potente di disuguaglianza, un termometro che misura la distanza tra il benessere declamato dalle istituzioni e la precarietà vissuta quotidianamente da ampie fasce di popolazione. Non potersi permettere una settimana di stacco significa essere intrappolati in un ciclo di lavoro e spesa, senza la possibilità di ricaricare le batterie, di dedicare tempo di qualità alla famiglia, di esplorare nuovi orizzonti o semplicemente di spezzare la routine che logora corpo e mente.
I dati geografici dipingono un quadro inequivocabile. La disparità nell’accessibilità alle vacanze è profonda, disegnando una chiara frattura tra l’Europa orientale e meridionale e quella occidentale e nordica. In cima a questa classifica negativa, la Romania svetta con un desolante 32% dei lavoratori che non possono permettersi una vacanza, seguita a ruota da Ungheria (26%), Bulgaria (24%) e Portogallo (23%). Sono Paesi dove il peso storico di economie più fragili e un minore potere d’acquisto si manifesta con tutta la sua forza, rendendo il riposo un’aspirazione lontana.
All’estremo opposto, i Paesi nordici come Finlandia, Svezia e Danimarca, insieme a Lussemburgo e Paesi Bassi, mostrano i tassi più bassi di povertà per le ferie, con percentuali comprese tra il 5% e il 7%. Qui, un modello economico e sociale che garantisce un reddito dignitoso, un’alta qualità della vita e un solido welfare si traduce in una maggiore possibilità per la maggioranza della popolazione di godere di un’esperienza di vacanza. Questa netta divisione geografica non è casuale: è il sintomo di politiche economiche, sistemi di contrattazione collettiva e livelli di protezione sociale radicalmente diversi.
Il guaio nelle “Quattro grandi” economie e la realtà italiana
Se i dati provenienti dai Paesi con economie più deboli non sorprendono del tutto, a destare maggiore preoccupazione è la situazione nelle “Quattro grandi” potenze economiche dell’Unione: Germania, Francia, Spagna e Italia. Qui, sebbene le percentuali siano inferiori, i numeri assoluti sono semplicemente sbalorditivi. In ciascuno di questi giganti economici, oltre 5 milioni di lavoratori si sono visti negare la possibilità di una vacanza.
Il caso dell’Italia è emblematico. Con il 17% dei lavoratori che non ha potuto permettersi di viaggiare per una settimana, il nostro Paese si posiziona al di sopra della media europea. In termini assoluti, stiamo parlando di una cifra che fa riflettere e che dovrebbe far scattare un allarme rosso: 6,2 milioni di lavoratori italiani in questa situazione. Un paradosso doloroso, considerando che l’Italia è una delle mete turistiche più ambite al mondo, ma milioni dei suoi cittadini non hanno le risorse per esplorare le proprie bellezze o quelle di altri Paesi.
Questa “vacanza negata” in Italia ha radici profonde. È l’effetto di un decennio di salari fermi o in leggera crescita, che non hanno tenuto il passo con l’inflazione e con l’aumento vertiginoso dei prezzi dei beni essenziali. L’erosione del potere d’acquisto, acuita dalle recenti crisi economiche, ha costretto milioni di famiglie a tagliare ogni spesa non indispensabile. La vacanza, pur essendo un’esigenza fondamentale per il benessere, è la prima a finire sotto la scure dei bilanci familiari in difficoltà. A ciò si aggiunge la diffusione di forme di lavoro precario, che non offrono la stabilità economica necessaria per pianificare e sostenere costi aggiuntivi.
Le cause profonde: non solo una questione di reddito
L’aumento dei contratti a termine, dei lavori intermittenti e della “gig economy” erode la certezza del reddito, rendendo impossibile la pianificazione a lungo termine. Un lavoratore che non sa quanto guadagnerà il mese successivo difficilmente oserà prenotare un volo o un alloggio per l’estate. Inoltre, il costo della vita, specialmente nelle grandi aree urbane, divora gran parte del reddito disponibile. L’aumento degli affitti e dei mutui ha ridotto drasticamente la capacità di risparmio di intere generazioni. A questo si sommano i rincari di bollette, carburante e beni alimentari, che hanno trasformato il reddito disponibile in un miraggio.
La CES, citata nell’articolo, punta il dito contro “un’economia sempre più diseguale” e la “speculazione”. E in effetti, il crescente divario tra i profitti delle aziende e i salari dei lavoratori è un fenomeno che si osserva in tutta Europa. Mentre i costi aumentano per i consumatori, i salari non si adeguano, e le aziende continuano a registrare profitti record. Questo squilibrio alimenta il circolo vizioso della povertà e dell’esclusione, minando la coesione sociale e la fiducia nelle istituzioni.
Le conseguenze: la salute e la società a rischio
Le implicazioni di questa situazione sono tutt’altro che banali. La mancanza di ferie ha un impatto diretto e devastante sulla salute fisica e mentale. La possibilità di staccare la spina è fondamentale per ridurre lo stress, prevenire il burnout e migliorare la produttività sul lungo periodo. L’assenza di riposo prolungato porta a un aumento di problemi di salute legati allo stress cronico, come ipertensione, ansia e depressione. In un certo senso, la “povertà delle ferie” è anche un problema di sanità pubblica.
Ma le conseguenze sono anche di natura sociale. L’impossibilità di condividere un’esperienza di vacanza con la famiglia o gli amici crea un’ulteriore forma di esclusione sociale. Per i bambini, non poter raccontare le proprie avventure estive a scuola può creare un senso di inferiorità e disagio. La vacanza non è solo un momento di svago, ma un’opportunità di crescita, di scoperta e di rafforzamento dei legami affettivi. Quando questo viene negato, si alimenta una frattura sociale tra chi può permettersi esperienze e chi invece rimane intrappolato nella monotonia quotidiana.
Il contratto sociale europeo in pericolo
Di fronte a questa emergenza, la CES lancia un appello chiaro e inequivocabile: l’Europa deve agire. Il segretario generale della CES, Esther Lynch, ha sottolineato che “prendersi una pausa con la famiglia o gli amici è importante per la nostra salute fisica e mentale ed è una parte fondamentale del contratto sociale europeo”. Questo contratto, che promette benessere e prosperità per tutti i cittadini, sembra ora vacillare.
Le soluzioni proposte dai sindacati sono ambiziose ma necessarie. In primo luogo, la piena attuazione della direttiva sul salario minimo, che dovrebbe garantire a tutti i lavoratori europei un reddito dignitoso che consenta di coprire le spese essenziali e, idealmente, di avere un margine per il riposo. In secondo luogo, la richiesta alla Commissione europea di includere nel “Pacchetto Qualità Lavoro” una legislazione che riequilibri l’economia, rendendo il rispetto della contrattazione collettiva una condizione per l’accesso agli appalti pubblici. Questo significherebbe rafforzare il potere dei sindacati e garantire salari e condizioni di lavoro più eque.