L’ultima partita.
Giorgio Chinaglia chiude, cinquant'anni fa, la sua esperienza in Azzurro.

Roma, 8 giugno 2025.
Allo stadio Lenin, Mosca, l’8 giugno 1975, cinquant’anni fa, si svolge un’amichevole di prestigio tra l’Unione Sovietica e l’Italia.
E’ l’ultima gara di una stagione che vede, in serie A, la Juventus riprendersi lo scudetto, dopo l’exploit della Lazio l’anno precedente, mentre nostra Nazionale, sotto la guida di Fulvio Bernardini, si sta ricostruendo dopo la rovinosa spedizione mondiale dell’anno prima in Germania.
Bernardini convoca tantissimi giocatori e cerca di cambiare radicalmente il nostro atavico concetto di difesa e contropiede plasmando quella che verrà definita “la Nazionale dai piedi buoni”.
L’amichevole contro l’Urss segue di tre giorni una gara che gli Azzurri giocano in Finlandia, per le qualificazioni all’Europeo per nazioni, e che vincono per 0-1 con un rigore trasformato da Chinaglia.
L’occasione per il nostro Commissario Tecnico è quella di provare più alternative possibili, più moduli, in vista poi della stagione successiva.
A fianco di punti fermi come Zoff, il capitano Facchetti, Capello, Benetti, alcuni giovani emergenti come Antognoni, Rocca, Orlandini, Graziani.
Il tecnico vara una coppia d’attacco inedita come Savoldi e Chinaglia, al debutto insieme in Nazionale.
L’Urss, che all’epoca poteva pescare in enormi bacini come l’Ucraina e la Georgia, schiera di fatto tutta l’ossatura della Dinamo Kiev che due settimane prima vince la Coppa delle Coppe.
A guidare i sovietici il colonnello Lobanovski, antesignano di un calcio totale, che fondava i suoi principi su una preparazione atletica impressionante.
La stella assoluta è Blochin, vero e proprio spauracchio, che però nella circostanza viene completamente annullato da una grandissima prestazione del romanista Francesco Rocca.
Gli Azzurri partono bene e per tutto il primo tempo comandano il gioco, a dispetto dei più collaudati sovietici, con un’enorme occasione per Chinaglia a cui si oppone il portiere Rudakov da campione.
Giorgione è tarantolato ed una ragione c’è perché sa che quella dello stadio Lenin sarà l’ultima gara con la tanto amata maglia azzurra indosso.
Nella ripresa l’Italia cala e subisce la rete del successo sovietico dal terzino Konikov, che risolve una mischia davanti a Zoff.
C’è però un ultimo sussulto, una vampata d’orgoglio, proprio al 90° quando su uno spiovente in area di Benetti, Chinaglia gira di testa all’angolino basso alla destra di Rudakov.
Goooool! Strillo saltando per aria ma nel ricadere vedo che Rudakov uncina il pallone togliendolo a fil di palo con un colpo di reni strepitoso.
L’ultima partita di Chinaglia con la maglia Azzurra si chiude senza la gioia di un suo goal.
Quel “maledetto” di Rudakov non ha avuto rispetto (!) di un calciatore che aveva per l’Azzurro una venerazione particolare, in virtù dei suoi trascorsi giovanili come emigrante in Gran Bretagna.
Era partita bene l’avventura di Chinaglia in Nazionale, con le prime tre gare ed altrettanti goals.
Giorgio Chinaglia chiude la sua tormentata avventura con la Nazionale con 14 presenze, molte sono spezzoni…, 4 reti, più due amichevoli non riconosciute ed altri tre goals.
Rimane un ricordo indelebile nel primo trionfo italiano a Wembley, nel novembre del 1973, quando la regia inglese indugia su Giorgione, propiziatore dell’azione decisiva, invece di inquadrare Capello autore della ribattuta in rete.
Rudakov in quell’amichevole ribadisce la grande tradizione sovietica dei numeri uno, dall’insuperabile Lev Jashin, a Dasaev, a Cercesov, a Akinfeev.
A rivederlo ancora oggi, quel “maledetto” di Rudakov…
FOTO: Storie di calcio – Altervis